ORA DI PUNTA/ I danni che gli scontri tra i Cinquestelle stanno provocando (non solo a Roma)

FOTO - Il direttore Ennio Simeonedi ENNIO SIMEONE – Le vicende romane del Movimento 5 stelle – che ne stanno delineando una immagine assimilabile a una versione dilettantistica della guerra per correnti che si svolgeva all’interno della vecchia Democrazia cristiana – sono inevitabilmente destinate ad avere ripercussioni sulle sorti del referendum costituzionale, quale che sia l’esito del braccio di ferro tra il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il “direttorio” pentastellato dopo l’ultimo fischio arbitrale di Beppe Grillo.

Infatti, se è vero, come è vero, che sul comportamento degli elettori inciderà notevolmente la maggiore o minore credibilità delle forze politiche che si sono schierate per il No – che è un No anche al capo del governo, che quella pasticciata e per certi aspetti pericolosa riforma della Costituzione l’ha voluta e l’ha imposta ai parlamentari del suo partito – è evidente che il discredito che sta accumulando in queste settimane il partito di Grillo si trasferirà nelle urne.

Quanto ciò sia vero è dimostrato dai repentini ed acrobatici cambiamenti di strategie, di tattiche e di mosse che avvengono nel campo opposto, quello del Sì.

Qualche esempio?  Sono ormai senza limiti le giravolte governative sulla data di svolgimento del referendum, che subisce continui stop and go: dal “si voterà ad inizio di ottobre”  (quando i sondaggi davano i Sì in vantaggio) si è passati a “non prima della fine di dicembre” di pochi giorni fa (quando la prevalenza dei No nelle previsioni demoscopiche suggeriva di prendere tempo per dare spazio ad annunci di sconti fiscali nella legge di stabilità o a misure straordinarie nelle aree terremotate), fino all’anticipo (“a metà novembre”) di ieri sera, quando i mass media diffondevano all’unisono gli scontri nel Movimento 5 stelle.

Altro esempio: i contenuti della riforma. Dagli elogi sperticati alla “migliore riforma costituzionale  realizzata nella storia dll’Italia repubblicana” Maria Elena Boschi è passata alla “riforma non perfetta, certo migliorabile, ma utile”, in sintonia con il videofilosofo Massimo Cacciari (che ha momentaneamente messo da parte la precedente sua definizione delle modifiche costituzionali: “una puttanata”).

Ancora un altro esempio? I giudizi sulla legge elettorale “Italicum”, che viaggia in perfetto abbinamento con quella di riforma costituzionale: “Sono due cose separate”, insiste la Boschi. E invece non è vero: l’Italicum assegna un enorme premio di maggioranza alla Camera a chi ottiene anche un solo voto in più dello sfidante al ballottaggio e la riforma costituzionale prevede il voto di fiducia al governo riservato solo alla Camera, mentre è falso che il Senato venga abolito; viene abolito solo il voto degli elettori per nominarne i membri, che spetterà ai consigli regionali, a loro volta eletti in tempi diversi da quelli della Camera.

Insomma i conflitti tra i Cinquestelle a Roma – oltre ai danni che possono procurare all’amministrazione della capitale – rischiano di favorire la mala politica nazionale. Ecco perché sarebbe ora che la smettessero di giocare con gli avvisi di garanzia, sia  in casa propria sia in casa degli altri e si dedicassero ad amministrare seriamente le città che gli elettori hanno affidato a loro. Come sta facendo la Appendino a Torino. E come stava facendo Pizzarotti a Parma.

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