L’ECOLOGISMO DI PAPA FRANCESCO E IL NUOVO SGUARDO SUL CREATO

di GIACOMO CESARIO* – Fra i temi più cari a Papa Francesco, di cui non si parla mai abbastanza, ci sono sicuramente ecologia e ambiente, trattati ampiamente nelle due ormai note encicliche Laudato sì del 2015 e Fratelli tutti del 2020, cercate, apprezzate, tra le più diffuse al mondo.

Ed è nel solco tracciato dai suoi predecessori che Bergoglio tira le fila e chiude il cerchio dei suoi messaggi dichiarando esplicitamente la sua prospettiva cattolica e cristiana, ma nel contempo senza negare che i testi siano stati pensati e redatti per chiunque, anche per chi non è cristiano.

Lo scopo dei documenti è quello di portare tutti i lettori, credenti e no, a capire come pace, fraternità, custodia del Creato siano elementi imprescindibili della nostra umanità. Vi si leggono approfondimenti biblici ed ecologici, riflessioni sulle meraviglie del Creato, dono inapprezzabile che abbiamo il dovere di custodire. Comprendono, nel loro vivace intreccio, impegnative raccomandazioni e messe in guardia riferite alla nostra terra, oramai danneggiata, definita in Laudatosì “come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, come una madre bella che ci accoglie trale sue braccia”.

Ricorrenti le citazioni sulla figura iconica di San Francesco, che lo ha sempre affascinato, e con il quale si pone in dialogo. Non casuali i rimandi ai contributi dei Papi sull’ambiente, da Giovanni XXIII a Paolo VI, a Giovanni Paolo II, oggi Santi, al Papa emerito Benedetto XVI per il quale “il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana” (Caritas in veritate, 2009). Tutti più volte e in vari momenti si sono occupati del mondo naturale con calore pastorale e preoccupazione.

E’ provato ampiamente dalla lettura di Pacem in Terris (1963), Octogesima adveniens (1971), Redemptor hominis (1979), uniti – è vero – da medesima premura nell’evidenziare i crimini contro la natura e dunque contro noi stessi e contro Dio, svelatore di ogni cosa.

Al giovane commerciante di nome Francesco, avvolto nel suo saio marrone, hanno guardato con ammirazione, ricordato prima di tutto come cantore del Creato, uomo di pace che, a loro dire, più somigliò a Cristo povero e crocifisso, che come pochi lottò per un mondo il più equo e fraterno possibile. Che, tradotto, significa seguire la logica del Vangelo su questa terra, nel quotidiano conflitto di interessi e passioni, ma soprattutto nel convincimento cristiano che, alla fine, tutti ci incontreremo con la bellezza di Dio. Che vi dimora, Signore, in eterno, illuminandola di luce solare, lunare, stellare.

E’, questo, nel magistero della Chiesa un motivo costante, che interpella il nostro tempo così propenso alle guerre, di gravi disastri naturali, di autodistruzione e di abbrutimento dell’umanità. Conforta la voce, autorevole quanto garbata, di Papa Francesco, venuto da lontano, monito e appello alla responsabilità di tutti di fermare i conflitti e cercare la pace. E che, si sa, ha dedicato alla fraternità universale la sua ultima enciclica “Fratelli tutti“, e più in generale, al progetto di pace e di dialogo l’intero pontificato.

Sdegno per la ferocia della guerra. Suffraga il suo sdegno per la ferocia della guerra che da febbraio 2022 insanguina l’Ucraina, e non pare avere fine, e di altri conflitti in atto, lunghi e difficili, con conseguenze sulla natura e sul pianeta, che egli veementemente condanna, senza mai però scendere nel campo diretto della contesa politica. Al primo posto nelle sue preoccupazioni c’è la pace come valore, dal momento che si analizzano questioni legate anche all’ambiente (LS, 143).

Il suo è sempre lo sguardo di un uomo straordinariamente vivo, curioso o trepidante, nonostante l’età, 87 anni, piuttosto aggiornato e presente sui social e sulla nostra epoca, cosciente del male che corre. Parla come pochi della condizione giovanile, aprendo squarci sull’adolescenza che si trascina dietro il vuoto, la solitudine, le inquietudini, ma anche entusiasmo e sentimento, mentre aumentano le fragilità specie dopo questi anni difficili tra isolamento da Covid e abuso di social, ma certamenteutili a chi vuole comunicare e sente il bisogno di mettersi in contatto, tenere relazioni.

Con lui e il suo ecologismo si muovono, nel mondo, intellettuali e politici, apparentemente concordi nel dire che serve una presa di coscienza dello stato di salute del nostro pianeta. Molto opportuna la decisione del Parlamento italiano di modificare la Carta costituzionale integrandola, agli articoli 9 e41, con norme di tutela intese alla protezione dell’ambiente e della salute pubblica, della biodiversità e degli ecosistemi come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Viene così riconosciuta l’interrelazione dei nostri sistemi naturali, sociali ed economici per il mantenimento di un ambiente sano e non degradato, senza il quale è la vita stessa delle persone a perdere di qualità e dignità. Il momento è dunque favorevole per interrogarci tutti, Stato, Chiesa e società civile, su ciò che è necessario fare per invertire la rotta e, nel merito, proporre soluzioni a partire dalla scuola (ma non solo) in difesa dell’ambiente: un argomento che andrebbe maggiormente approfondito, studiato, anziché bollato come qualcosa che non ci appartiene.

E se il nuovo provvedimento riguarda necessariamente tutti e ciascuno, sembra interpellare in modo particolare i più giovani, protagonisti insospettati, più che altro invogliati a farsi carico di iniziative coraggiose, alla maniera di Greta Thunberg, giovane attivista svedese scesa in piazza a sostegno di ambiente e diritti, per denunciare le promesse tradite di una politica a suo dire “lenta”, lontana dai problemi veri; non in grado, sembra, di svolgere compiti operativi o assicurare un servizio didattico di buon livello per la formazione dei futuri operatori ecologici.

Non è retorica condividere il parere di chi tenta, con accortezza, di agganciare il futuro dei giovani ad alcuni argomenti fondamentali: il rapporto privilegiato con la natura, prima di tutto. E poi il ritorno ai grandi classici della letteratura mondiale talvolta sconosciuti, capaci però di parlare sempre in modo estremamente attuale. Tutto sta a capire se il ripasso dei grandi autori come Francesco di Assisi, già dalle scuole primarie, aiuterà a costruire le basi nel caso poi si decida di seguire un percorso umanistico: se lo chiede un gruppo di studiosi per la più parte giovani propensi a riconoscere nella poesia una delle forme letterarie più espressive e conosciute al mondo, e che pertanto non può più essere guardata con distrazione, con ironia: il che a vari livelli dirà senza dubbio più di qualcosa, ci farà davvero arrivare là dove altre forme di comunicazione hanno fallito, se poesia vuol dire mirabil modo d’intendere quel che altri ha inteso per la prima volta, sotto altri cieli, con altra lingua.

E mentre si discute, fatto molto positivo, c’è chi, fra questi, prova a rilanciare la figura poetica del Santo di Assisi, poco più che un fatto i suoi componimenti, capaci di disvelare quanto di suggestivamente bello la natura nasconde. Possono sembrare fuori dal nostro tempo dove gli uomini, bravi ad armarsi e a sopprimere vite, si mostrano impietosi, indifferenti, alla grandiosa e salvifica opera di Dio. E invece sono di grande utilità a chiunque (soprattutto se giovane) voglia mettere ordine alla propria quotidianità.

Dicono i biografi che anche nella sua opera di scrittore Francesco mostra “vena sapienziale e acume poetico“. Soprattutto nelle Audi non smise mai di ascoltare la voce diversa della natura “laddove vibra ed esplode la luce divina“. E’ fermo nel confermare nei suoi scritti, nelle sue confessioni e nei testamenti spirituali il proposito di vivere “secondo la forma del Santo Vangelo”, di seguire Cristo povero e crocifisso. Nel corso della sua esistenza, tra sussulti e illuminazione, cercò sempre di ascoltare la voce di poveri e abbandonati e fare in modo che non sfuggissero all’attenzione dei ricchi. E’ la logica del donare e del donarsi perché l’amore cristiano possa concretamente intenerire i cuori.

Quale sorte possa essere riservata ai versi folgoranti e avvincenti del frate poeta se lo chiedono in tanti. Chissà mai se possono servire a scopo educativo o anche per iniziative ecologiche, alimentate dal libero contatto tra le culture, una delle vie indicate dal Papa. Ma si può esser certi che egli vi attinge con continuità, cogliendone ricchezza umana e pluralità di voci, notato per come si accosta alla spiritualità del frate, additato a modello, di cui porta il nome. Ne tratta senza alcun tipo di retorica in luminose encicliche articolate attorno ad alcuni grandi temi sociali (tra gli altri: amicizia, fraternità, sobrietà, ecologia, sviluppo, cura, pace, diritti, scuola).

È in questa dimensione che si pone l’esortazione apostolica Laudate Deum” sul clima, stesa in vista della giornata per la cura del Creato (1° settembre 2023), con ampi e sostenuti richiami alla terra “casa comune”. Tutto ciò che di buono è in essa ci riporta a Dio, presente nella storia, ha radici nella storia, ci ricorda il Papa.

Ecco perché non bisogna maltrattarla questa meravigliosa terra, generosa un tempo, per decenni incolta e contesa tra potenti mercenari, responsabili, in gran parte, d’uno stato di cose impietose, per nulla pentiti di certe interessate difese. E tuttora con effetti pesanti su imprese e lavoro, mentre interi settori economici rischiano di fermarsi.

E non si sa ancora come riparare a tanto sopraggiunto male: la guerra in Ucraina e conseguenti carestie. La quale, minando la stabilità sociale, commette l’arbitrio e l’ingiustizia di non ascoltare il grido sofferente di umili straziati, innocenti offesi, inermi colpiti. Al punto che noi ci chiediamo, impauriti e sgomenti: dove si vuole arrivare? Ma hanno la testa sul collo e il cuore in petto i signori autori dell’inaudito massacro senza fine? E si teme il peggio: avremo cattivi raccolti, annate di fame, di malattie severe che si aggiungono all’epidemia da covid non debellata ancora del tutto. A breve avremo ulteriori ricadute sull’ambiente sia per via dell’eccezionale siccità, con fiumi in secca e fontane asciutte, terreni infuocati, sia per le inondazioni, come prevedono analisti del settore. Disastro ecologico. Qualcosa che grava sulla coscienza di chi pianifica e consente tutto ciò. Segno innegabile di molti squilibri nel pianeta dovuti in parte ai cambiamenti climatici, generando una vera “crisi ecologica” che ha ed avrà ricadute allarmanti anche sul piano della giustizia sociale e dell’equa distribuzione delle risorse.

Molto anche dipende dalle nostre abitudini, ad esempio evitando gli eccessi e inquinando meno, per fare fronte all’emergenza che interessa l’intero pianeta, nel pieno di una crisi in cui il fitto reticolo di relazioni che ne reggono ilsistema globale è messo a dura prova da ripetuti attacchi.

E’ un grido d’allarme quello lanciato da Papa Francesco in Laudate Deum (Lodate Dio), diffusa non a caso nel giorno di San Francesco (4 ottobre) patrono dell’ambiente, che integra a distanza di 8 anni l’enciclica Laudato sì e che egli indirizza “a tutte le persone di buona volontà”. Da allora non è stato fatto abbastanza, lamenta, “ma siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici”. Dal documento, in apertura, emerge l’invito a lodare Dio per il dono del Creato, per poi ragguagliare sui passi compiuti e riportare l’attenzione sull’attualità complessa, segnata dalla crisi climatica, un problema mondiale, di cui “sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti “.

Di certo lasciano ben sperare gli appelli incessanti del Pontefice che, nel suo ruolo di Pastore universale, anche in Laudate Deum sprona gli Stati ad agire, deplorando la “debolezza” della politica, ma al tempo stesso riconoscendo il sostanziale apporto di voci diverse, capaci di “compensare” più di quanto non si pensi. Servono alternative che siano di contrasto al cambiamento climatico, che non riguarda soltanto i decisori politici e le grandi aziende, ma è un fatto culturale che investe tutti. Si tratta di muoversi in un’ottica globale, ha scandito, che permetta di rivedere in tempo gli accordi che “hanno avuto un basso rilievo di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzioni delle inadempienze“.

Come si legge a conclusione del capitolo 4 dedicato a progressi e fallimenti delle conferenze sul clima, le cosiddette Cop sui cambiamenti climatici, approvate nello storico summit di Rio del 1992, viste come un’opportunità, un cambio di rotta a favore della tutela dell’ambiente e della nostra salute. Viene qui evidenziato il ruolo importante giocato dalla Cop21 di Parigi del 2015, che ha visto l’accordo di tutte le parti a mantenere o ridurre notevolmente gli effetti disastrosi del cambiamento climatico in atto, pure dipeso dal modo in cui l’uomo interagisce con la natura. Mentre, per certi aspetti, le conferenze di Copenaghen (2009), di Madrid (2019), di Sharm el Sheikh (2022) con difficoltà quest’ultima derivanti anche dal conflitto in Ucraina, si sono dimostrate inefficaci e inefficienti.

Adesso si aspetta con speranza cop28, il vertice della ricca Dubai (30 novembre – 12 dicembre 2023), città sul Golfo Persico con pozzi e raffinerie di petrolio, un passo decisivo verso un’accelerata transizione energetica con azioni condivise ed efficienti, a beneficio di quanti, in ogni parte del mondo, privi di risorse, non riescono ad avere vita degna, a difendere se stessi e le loro economie a causa di siccità prolungate, uragani fuori controllo, alluvioni impreviste, con forti disagi ovunque. Un obiettivo che non può essere perseguito mediante interessi di parte, ma attraverso la difesa deidiritti di tutti. Monitorando i negoziati sul clima, condannando i poteri e le disuguaglianze, rimodulando l’atteggiamento verso il mondo naturale abitato da varie specie a rischio, pesci, animali, uccelli del cielo, e via dicendo, una ricchezza cui si è guardato per millenni solo come fonte di cibo. Alla base anche la logica incresciosa di una “tecnocrazia” imposta dal potere ambizioso, che cerca successo, dominando su tutto, considerando l’uomo un signore assoluto (22). Nessun pregiudizio aprioristico contro il progresso della tecnica e i suoi ritrovati, da non esaltare, idolatrare, è l’appello.

Su questa falsa convinzione di dominio riflette Papa Francesco,  che conclude il capitolo 5 di Laudate Deum con l’invito a lodare Dio, in spirito di umiltà e di docilità, “perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per se stesso”. Ma rischiano d’essere parole vuote senza una rilettura onesta delle Scritture (Genesi) per comprendere che noi siamo i custodi e non i signori della Terra. Che va custodita e consegnata nella sua interezza, con amore, anziché depredarla. Facendo suo fino in fondo l’insegnamento del serafico Santo, invita una volta ancora ad amarla, a circondarla di cure, a farla fruttificare.

*Giacomo Cesario, giornalista vaticanista

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