LA BUCCIA DI BANANA DI IGNAZIO MARINO

ORA di puntadi ENNIO SIMEONE/

E’ triste l’epilogo della vicenda Marino. Un uomo che aveva conquistato la fiducia dei romani desiderosi di vedere alla guida del Campidoglio una figura che rappresentasse una alternativa ai mestieranti della politica e un demolitore del sistema di potere introdotto da Alemanno, e che, nonostante alcune sue bizzarrie (come voler compiere in bicicletta i suoi spostamenti in una città come Roma), è riuscito ad attaccare la cancrena dei poteri forti che da decenni controllavano lo smaltimento dei rifiuti e il commercio abusivo al minuto nel centro storico della capitale d’Italia, è tristemente scivolato sulla classica buccia di banana. Rovinando la propria reputazione personale e, di conseguenza, spianando la strada al rischio che degli smaliziati demagoghi (di qualunque colore politico) possano ora dare la scalata al Campidoglio.

Eppure era risultato evidente fin dal primo giorno dopo le elezioni di due anni fa che erano in tanti con i fucili puntati su di lui per aver scompaginato strategie di lungo corso e per aver intaccato sistemi di potere consolidati. Non avendo altri appigli, i vendicatori di questi poteri erano partiti con una campagna contro il parcheggio senza il permesso di sosta esposto sul parabrezza della sua Panda rossa: campagna ridicola contro un sindaco che girava in bicicletta, cui si erano associati organi di informazione e giornalisti in caccia di facili sciacallaggi. E si erano spinti fino alla domanda-trabocchetto al Papa sull’aereo di ritorno dagli Stati Uniti per fargli negare (in verità con una ingiustificata puntigliosità da curato di campagna) che fosse stato lui ad invitarlo a Filadelfia, cosa che Marino non aveva mai detto.

E poi ai vertici nazionali del Pd e a una parte di quelli romani questo incontrollabile personaggio non piaceva, rompeva gli schemi dell’obbedienza oggi in vigore in quel partito (schemi cui soggiacciono anche alcune anziane figure, pateticamente ossequienti in cambio della scampata rottamazione). Non che lui non avesse offerto finora il fianco – con errori di valutazione, eccessi mediatici, sottovalutazioni di alcuni problemi delle periferie, scarsa capacità di dialogo con la città – alle critiche che gli venivano mosse da più fronti; ma gli aspetti negativi del suo operato erano compensati dal coraggio (talvolta minato dalla presunzione di poter fare tutto da solo) con cui aveva affrontato le immense difficoltà ereditate dal passato e le innovazioni che stava introducendo nella gestione della città anche con il taglio di consolidati privilegi nella struttura amministrativa.

Tuttavia l’averlo messo sotto la tutela politica della figura ambigua del presidente del Pd Matteo Orfini, nominato commissario del litigioso partito romano, e del prefetto Gabrielli (sia pur per il coordinamento delle attività connesse al Giubileo), ha indebolito la sua posizione, già insidiata da vari ultimatum del capo del partito e capo del governo. Bastava una buccia di banana per farlo scivolare. Ed è stata una buccia di banana gettata da lui stesso sul proprio cammino a farlo cadere rovinosamente.

Buttare a mare due anni di speranze e di fatica, di progetti e di battaglie per quattro o cinque pranzi in famiglia impropriamente pagati con la carta di credito di sindaco è una meschina ingenuità, ma ha assunto il significato del più grave tradimento che Marino potesse commettere verso chi lo ha votato e soprattutto verso se stesso. E – se l’indagine della magistratura lo confermerà – è giusto che ne paghi il prezzo.

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