di RAFFAELE CICCARELLI*/ Il più delle volte la vita ci pone di fronte a un bivio, scegliere una strada di serenità e condivisione o una di disperazione e solitudine. È un bivio che si trovò ad affrontare anche George Foreman, nero americano nato a Marshall in Texas ma cresciuto a Houston, in un quartiere disagiato che tendeva a esaltarne il carattere rissoso e violento. Era, quello, un aspetto del disagio interiore che viveva George, senza il riferimento di una figura paterna per l’abbandono della famiglia da parte del padre, una violenza che non diminuì nemmeno quando si trasferì per lavoro in Oregon. Le continue risse con i colleghi gli procuravano problemi, ma qui fu notato da Nick Doc Broadus, che ne indirizzò l’indole al pugilato, anche se nel suo intimo George sarebbe voluto diventare un giocatore di football.
La boxe nel destino. Spesso la boxe è stata la via salvifica per tanti giovani altrimenti destinati a una vita solitaria e disperata, uno sport duro più che per la sua stessa tipologia, dare e prendere pugni, quanto per il fatto che, alla fine, si combatte anche contro sé stessi, e così fu anche per Foreman. Il suo modo di combattere era abbastanza semplice, strategia in pratica zero, tecnica elementare, ma il tutto sopperito da una grande forze fisica e da una volontà ferrea, che lo portarono a vincere tanti incontri per knock out. Il primo successo fu la medaglia d’oro conquistata ai Giochi Olimpici di Messico 1968, polemici anche per non avere appoggiato la protesta delle Pantere Nere di Tommie Smith e John Carlos, quindi il passaggio tra i professionisti.
La grande occasione. Fu il destino a dargli una mano, la corona dei Pesi Massimi vedeva il suo re indiscusso, Muhammad Alì, privato del titolo per la sua renitenza alla leva nella guerra del Vietnam, e rientrato nel giro pugilistico solo nel 1971. Il campione in carica era Joe Frazier, il 22 gennaio del 1973 i due si affrontarono a Kingston, in Giamaica e, nonostante Frazier fosse favorito, Foreman vinse facilmente mandando più volte al tappeto l’avversario. Era chiaro, però, che l’obiettivo era Alì e, dopo alcune difese del titolo abbastanza scontate, fu in grande stile che Don King, alla sua prima organizzazione, preparò il match, passato alla storia come The Rumble in the Jungle.
La super sfida. Fu a Kinshasa, in Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, che il 30 ottobre del 1974 i due incrociarono i guantoni, portando il paese africano e il suo dittatore, Mobutu Sese Seko, sotto i riflettori mondiali, nel tentativo quest’ultimo di affrancarsi dalle atrocità verso il popolo che a lui erano ascritte, e per una notte gli occhi del mondo furono tutti su Kinshasa. Il pronostico sembrava favorire Foreman, ma quella notte si sarebbe scontrato con la sagacia tattica, oltre che con i pugni, di Muhammad Alì. “Alì bomaye!”, “Alì uccidilo!” fu l’incessante colonna sonora dell’incontro, ma Alì non uccise Foreman, lo sconfisse, facendolo assurgere in ogni caso al mito come co-protagonista di quell’incontro.
All’inferno e ritorno. Dopo quel match per Foreman iniziò un declino che sembrò portarlo a chiudere la carriera, ci fu una conversione religiosa, ma dopo dieci anni di inattività a sorpresa ritornò sul ring. Sembrava più una mossa alla ricerca di soldi, però George faceva sul serio e ancora una volta il destino gli porse l’occasione. All’inizio degli Anni Novanta Mike Tyson, anch’egli campione indiscusso dei Pesi Massimi, era in carcere per una condanna per stupro, Lennox Lewis aveva subito un’inattesa sconfitta e fu Foreman a essere designato per sfidare il campione in carica, Michael Moorer, match disputato a Las Vegas il 5 novembre del 1994.
Il match contro Moorer e il resto della vita di George. Per nove round Foreman fu in completa balia dell’avversario, riuscendo a resistergli, al decimo penetrò la sua difesa e, tra la sorpresa generale, lo colpì mandandolo al tappeto, per non rialzarsi più. Foreman divenne, a quarantacinque anni e nove mesi, il più anziano campione del mondo della categoria, titolo che difese per altri tre anni fino al definitivo ritiro. Seguì una ricca vita imprenditoriale, dodici figli avuti da quattro matrimoni, una vita tutto sommato felice, grazie al fatto di avere imboccato, in gioventù il bivio giusto, quello del pugilato.
*Storico dello sport
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