Il teatro politico di Frosini/ Timpano fa ridere. Sul serio. Il futuro ci attende dietro di noi.

di FEDERICO BETTA – Il 1789 è lontanissimo. In questi duecento e passa anni è cambiato il mondo. Ma secondo la coppia di attori e drammaturghi romani composta da Elvira Frosini e Daniele Timpano, lo spettro della rivoluzione francese ci può aiutare a squarciare le nuvole che coprono la contemporaneità.

89, questo il titolo del loro ultimo spettacolo, in scena al Teatro India di Roma per il RomaEuropaFestival fino al 21 novembre, si innesta in un percorso coerente, e sempre originale, di lavoro sugli archivi, un nuovo scavo critico sulla memoria di materiali culturali che rinvengono come ombre, fantasmi storici che riappaiono per parlare di noi.

Lo spettacolo della coppia, per la prima volta in scena con Marco Cavalcoli, scopre vecchi oggetti, parole in disuso e immagini sbrindellate mescolandone i linguaggi, per farli riapparire intatti alla luce accecante del nostro problematico presente. La struttura del lavoro rimescola in un turbine di parole la memoria letteraria, musicale e poetica della nostra nazione come fosse esperienza personale, in una sorta di archeologia politica che sembra anche essere una vivida memoria esistenziale.

Sempre in bilico, tra l’essere completamente coinvolti o freddamente distaccati, gli attori incarnano figure prendendone parole e corpo, pur non smettendo mai di immergersi nella propria infanzia. Grazie a questa continua mescolanza di pubblico e privato, il testo pieno di invenzioni, giochi, filastrocche, frasi da manuale e scherzi linguistici è una interessante lezione di storia che realizza una relazione quasi fisica con il corpo degli attori, tanto che intere sequenze di parole si sciolgono in movimento scenico, trasformando la lingua in pura sensazione.

89 ci parla della crisi della democrazia occidentale rintracciandone le radici nella rivoluzione francese; e arriva a osservarne il compimento nella caduta del muro di Berlino. L’89 del ‘700 si espande così fino all’89 del ‘900, creando le parentesi di apertura e chiusura della modernità che si sta dissolvendo in un mondo globalizzato senza alternative. Con un epilogo particolarmente amaro, dopo tutto il divertimento che ci accompagna durante lo spettacolo, esplode con forza un grido che mette in guardia da fiacchi riformismi e costanti restaurazioni. E la freschezza della scabra messa in scena, fatta di pochissimi oggetti simbolici, aspira a rinvigorire la potenza di un teatro politico che si tuffa all’indietro cercando le tracce di nuove possibilità, per un futuro meno oppressivo che offra ancora la capacità di dire la parola “noi”.

 

Commenta per primo

Lascia un commento