TEATRI DI VETRO/ Il festival alla sua XII edizione. Ce ne parla la direttrice artistica Roberta Nicolai

di FEDERICO BETTA/

Il 9 novembre comincia a Roma la nuova edizione di Teatri di Vetro. Fino al 19, il festival propone 41 rappresentazioni e 14 tra laboratori, seminari, stage rivolti a bambini, rifugiati, amatori, professionisti e cittadini. Per l’occasione abbiamo avuto la splendida opportunità di porre alcune domande alla direttrice artistica Roberta Nicolai.

Il festival è giunto alla sua dodicesima edizione, ma forse c’è ancora qualcuno che non lo conosce. Che cos’è Teatri di Vetro? 

Teatri di Vetro è un progetto artistico che viene restituito agli spettatori in forma di festival.

Nel 2007, anno della prima edizione, lo presentammo come vetrina per la scena contemporanea romana che in quel momento esprimeva una grandissima vitalità. Il punto di partenza, alla sua nascita, è stato l’osservazione del panorama artistico. Prima di allora avevamo condotto, come Triangolo Scaleno, un monitoraggio delle compagnie di Roma e provincia. E da lì, dall’osservazione delle compagnie e degli artisti operativi su Roma principalmente, abbiamo colto la necessità di dare vita ad un progetto che rendesse visibile questa scena sotterranea – fragile e al tempo stesso resistente e trasparente, come il vetro – plurale per linguaggi e a contatto con il presente.

Oggi è uno dei festival multidisciplinari – teatro, danza e musica – riconosciuti sul piano nazionale.

La sua vocazione continua ad essere la stretta relazione con la creazione scenica contemporanea.

Il festival è la zona emersa di un progetto esteso, costruito attraverso confronti e sessioni di lavoro con gli artisti e si configura come la restituzione al pubblico di oggetti scenici – spettacoli, performance, dispositivi – generati dalla condivisione di prospettive di ricerca. La programmazione mette in evidenza temi, elementi, residui della creazione artistica che il singolo spettacolo non esaurisce e prevede la presentazione al pubblico di piani performativi sommersi affidati a dispositivi scenici ibridi. Fa oscillare i ruoli degli attori e degli spettatori attraverso formati scenici che includono i cittadini come parte del gesto artistico e prevedono l’interazione con gli spettatori durante le fasi di creazione. Invita lo sguardo e l’elaborazione teorica di studiosi e osservatori. Alimenta il dialogo con i contesti territoriali – spazi, strutture, tessuto sociale.

Nel corso degli anni, TDV ha vissuto diverse variazioni, sempre nell’ottica della sperimentazione e del rapporto con il territorio. Ci racconti come è cresciuto e cambiato nel corso degli anni?

L’attitudine all’osservazione del panorama artistico è ciò che si è mantenuto negli anni ed è anche ciò che ha guidato la trasformazione e la crescita del progetto dal 2007 a oggi. In questi anni il rapporto tra direzione artistica – intesa come curatela – e gli artisti è diventato via via più profondo. Dagli incontri, dalle riflessioni condivise con gli artisti, dalle sessioni di prove che riesco a seguire, dai tutoraggi degli artisti più giovani cerco di individuare un tracciato, una mappa che posso restituire al pubblico. Da lì nasce anche l’esigenza di porre questioni agli artisti, di dare consegne, di immaginare modi e dispositivi diversi da proporre agli spettatori. Da anni ormai il festival non è un cartellone di spettacoli ma la costruzione di un discorso attraverso la pluralità delle presenze, di spettacoli ma anche di progetti, che compongono un ragionamento e si restituiscono all’esterno come oggetti di piacere, che è il motivo principale per cui si va a teatro.

Che tipo di selezione fate? Che cosa cercate negli spettacoli di/per Teatri Di Vetro?

Il 2018 è il primo anno di una nuova stagione. La programmazione è stata costruita a partire da agosto 2017. Prendo ad esempio la sezione Oscillazioni, dove la prospettiva curatoriale è più evidente e che non a caso chiude l’intero percorso a dicembre, dopo più di un anno di lavoro.

Per questa sezione – che va in scena al Teatro India – ho interpellato artisti con i quali ho condiviso, negli anni, pensiero e pratiche.

Ho chiesto loro di poter interrogare il processo di creazione assumendo la prospettiva della sua complessità, del suo procedere non per linea retta, del suo deragliare e lasciare tracce, residui e scarti. Di concretizzare il desiderio di mettere lo sguardo su parole isolate, su quei contenuti che, durante il processo, scivolano dentro e fuori dalla scena, che si presentano con forza e poi si rendono inafferrabili. Di non abbandonare del tutto quegli immaginari incontenibili che non si lasciano addomesticare, trasudano sempre verso il fuori della regola.  E dalla necessità di non uniformare la scena contemporanea a codici e convenzioni, ma restituirla nell’ampiezza del processo creativo, nello spostamento sostanziale di un punto di vista, sull’arte e sulla sua funzione.

Dentro Oscillazioni, al termine di questa lunga parabola, trovano spazio progetti artistici che per loro natura prevedono una pluralità di dispositivi e, accanto a spettacoli, formati scenici che cercano di dare voce a quei materiali, non presenti nella sintesi spettacolare, laterali e sottesi, che viaggiano verso l’assunzione di una forma autonoma, gesti scenici difformi, ibridi, tali da prevedere e accettare il performativo della parola detta, del discorso, della letteratura, della traduzione, dell’immagine.  Al termine della curva ci sono gli spettatori.

Generare dispositivi diversi per invitare gli spettatori ad un contatto intimo con la creazione, per mettere le posizioni convenzionali di chi è in sala e di chi è sul palco, in uno stato di squilibrio, di oscillazione. Cercando la qualità alla relazione.

Ci presenti questa edizione? 

TDV12 si compone di cinque blocchi progettuali: Oscillazioni al Teatro India, Composizioni al Teatro del Lido, Elettrosuoni a Bisca/Circolo del Parco, Focus Young Choreographers Mediterranean area 2018 all’Angelo Mai, Trasmissioni a Tuscania.

Una proposta plurale. Cinque sezioni per dialogare con la creazione contemporanea e ingaggiare spazi e contesti territoriali: dall’immersione in una condizione di studio con Trasmissioni, alla condivisione di segni e abilità tra coreografi arabi e giovani interpreti italiani con Il FYCMM; dalla proposta di performance che rendono necessario lo spettatore come produttore di contenuti con Composizioni, all’affondo nell’elettronica e elettroacustica sperimentale con Elettrosuoni in un nuovo spazio nato a Tor Fiscale.

Per approdare al Teatro India interpretando la sua vocazione di luogo di ricerca con Oscillazioni. Il tema, il senso del tutto, declinato e sotteso, che trova proprio a India, al termine di un lungo percorso, concretezza, azzardo, realizzazione.

Cosa mantiene e cosa cambia rispetto alle precedenti?

Oggi TDV non è più una vetrina. Non avrebbe senso. Ci sono infiniti progetti che svolgono quel ruolo. Occupa piuttosto un vuoto, qualcosa che non esiste creando un luogo – uno spazio e un tempo – per la ricerca e la condivisione tra gli artisti e la curatela, tra gli artisti e i teorici e tra gli artisti e gli spettatori. Il suo obiettivo è far emergere i processi di creazione, renderli evidenti per poter offrire un diverso piano della fruizione culturale, al centro di quella compresenza di esseri umani  tra chi fa e chi guarda, tra platea e scena. Per cogliere quel punto è necessaria una problematizzazione e un azzardo: provare a proporre agli spettatori un posizionamento non convenzionale. Di qui lo squilibrio. L’oscillazione dei ruoli. Qualcosa che non ha a che fare con prove di forza, ma punta piuttosto alla condivisione delle nostre fragilità.

Teatri di Vetro è un progetto importante che propone progetti di condivisione disseminati sul territorio romano. Spettacoli e performance divertenti, impegnativi, leggeri o sperimentali: non resta che cercare tutte le informazioni sul sito https://teatridivetro.it/ e godersi questi dieci giorni di bellezza

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