L’atteso appuntamento per il rinnovo anticipato del parlamento spagnolo, nonostante la buona affluenza ai seggi, si è chiuso con un nulla di fatto e tanta incertezza in più all’orizzonte, proprio mentre Madrid è ancora presidente di turno dell’Unione Europea.
Né il partito socialista (Psoe) del premier uscente, Pedro Sánchez, né i suoi avversari del partito popolare (Pp) riescono ad ottenere la maggioranza assoluta in parlamento (176 seggi su 350) e quindi i numeri per formare da soli un governo. Da domani i due leader daranno il via a negoziati serrati per cercare gli appoggi di altri partiti più piccoli e tentare di trovare una maggioranza.
Ma questo esito, spiega Steven Forti, professore di storia contemporanea all’università autonoma di Barcellona, è tutt’altro che scontato. Interpellato da AGI sugli esiti di un voto considerato decisivo per la politica del paese e per l’Europa, Forti ha subito osservato come “centrodestra e centrosinistra, insieme, catturano quasi il 65% dei voti ma né l’uno né l’altro ottengono una maggioranza di governo”.
Un risultato che smentisce gran parte delle previsioni: “Il primo dato importante, afferma, è che il Pp (con 136 seggi, il primo partito spagnolo) con la destra estrema di Vox (che perde 19 seggi dal 2019) non raggiunge la maggioranza assoluta in parlamento ovvero quello che molti sondaggi prevedevano”.
Dati alla mano, il tonfo inaspettato del partito sovranista (Vox) di Santiago Abascal, fermo al 33% dei consensi, indica “che Vox è completamente fuori dai giochi e che non ci può essere una maggioranza del Pp con l’estrema destra, dentro il governo o fuori”. Inoltre, prosegue lo studioso, “il secondo dato importante, che contrasta con la maggior parte delle analisi recenti, è che il Psoe ha tenuto: ha guadagnato due seggi (136 dai 134 del 2019) e anche un milione di voti in più”.
“Il Pp, puntualizza, pur essendo il primo partito del paese, esce però politicamente sconfitto dalle elezioni perché le sue aspettative erano sicuramente quelle di governare”. D’altra parte, “tutti davano per ‘morto’ Pedro Sanchez che, invece, è riuscito a tenere la sua posizione e, addirittura, a migliorarla, avendo ancora qualche minima chance di tenersi la Moncloa”.
L’operazione riuscita quattro anni fa, quando Sanchez andò al governo con l’appoggio o l’astensione di tanti partiti regionali, nazionalisti o autonomisti di sinistra, secondo Forti, “oggi sarà molto più difficile perché la sinistra complessivamente ha perso seggi e non basteranno i ‘soci’ della scorsa legislatura per ottenere la maggioranza al governo”.
Anche sommando i voti della sinistra catalana, dei nazionalisti baschi e galiziani di sinistra, dei partiti regionali delle Canarie e di Valencia, Sanchez raggiungerebbe infatti circa 172 seggi.
In questa complessa partita politica, a suo avviso, l’ago della bilancia diventerebbe proprio Junts, la coalizione indipendentista di destra guidata dall’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, tuttora rifugiato in Belgio per il fallito tentativo secessionista del 2017.
Quest’ultimo, però, “non ha mai votato Sanchez e, anche in campagna elettorale, ha sempre preso le distanze dal suo partito”.
Quali prospettive ci consegnano allora le urne spagnole? Lo studioso ha pochi dubbi in merito: “uno scenario difficile ma non impossibile è che il leader del Psoe riesca a essere riconfermato ottenendo l’astensione di Junts (con 7 seggi in parlamento) nella seconda votazione per il presidente del nuovo governo”.
D’altra parte, il leader del primo partito, il conservatore Alberto Feijoo, intende comunque avviare le consultazioni per formare un governo, ma “non è mai riuscito a costruire forti legami con i partiti più piccoli: ha già chiesto alle altre forze politiche di astenersi per permettergli di governare, ma non credo che avverrà”.
In un paese che, sulla scia della crisi economica del 2010, ha assistito alla progressiva frammentazione del suo sistema politico, lo scenario più probabile, secondo Forti, è quello del ritorno alle urne in autunno. Infatti, “non sarebbe la prima volta che gli spagnoli tornano a votare per superare una situazione d’impasse politico”, dice, rammentando quanto avvenuto nel 2016 e nel 2019.
La tornata ha comunque riconsegnato dei segnali positivi a partire dalla partecipazione al voto: oltre il 69% degli elettori registrati, quasi il 3% in più del 2019, ha infatti sfidato temperature proibitive per recarsi alle urne. In controtendenza la Catalogna, dove l’astensionismo ha interessato soprattutto gli elettori dei partiti indipendentisti, dopo il sostanziale fallimento delle spinte secessioniste.
Gli elettori, osserva Forti, hanno resistito alla propaganda dei partiti estremisti preferendo i partiti tradizionali e la governabilità. Ma le loro buone intenzioni, purtroppo, potrebbero non essere premiate. (fonte: servizio AGI)
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