DOMENICO MACERI/ Le “sparate” alla Trump inquinano le primarie americane

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI*/

La questione più importante che il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà affrontare è trovare “un modo per ritessere la ragnatela della civiltà”. Con queste parole Jeb Bush, ex governatore della Florida, e candidato alle primarie del Partito Repubblicano, cercava di riportare il discorso politico su un territorio di toni sobri allontanandosi dal linguaggio divisivo che ha fruttato consensi politici a Donald Trump.
 Trump, come si sa, dopo avere annunciato la sua candidatura alle primarie del Gop, ha attaccato gli immigrati messicani come criminali e “stupratori”, offendendoli quasi tutti. La linea dura del magnate di New York però lo ha fatto balzare in testa ai sondaggi superando al momento lo stesso Bush e Scott Walker, i quali si trovavano nelle prime posizioni.
I sostenitori di Trump ignorano ovviamente la sparata offensiva contro un intero gruppo etnico e, di fatto,  contro un intero Paese. Il magnate di New York e celebrità televisiva continua però con le sue sparate offendendo le donne e attaccando chiunque ha il coraggio di rispondergli.
Non pochi altri hanno cercato di usare simili tattiche per attirare l’attenzione dei media.

L’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee ha dichiarato che il presidente Barack Obama non prende gli iraniani sul serio. Secondo lui, con l’accordo sul nucleare fra gli Stati Uniti e l’Iran, il presidente Barack Obama non fa altro che “condurre gli israeliani alle porte dei forni”. Il riferimento all’olocausto contiene esagerazioni simili a quella di Trump ma non ha avuto la stessa “fortuna” nei sondaggi.
Il senatore Tom Cotton, repubblicano del Tennessee, ha accusato il segretario di affari esteri John Kerry di avere agito da Ponzio Pilato perché ha delegato alla IAEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, i controlli in Iran.
Il senatore Ted Cruz, repubblicano del Texas, ha da parte sua accusato il presidente del Senato Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky, di essere “bugiardo” per avere mancato di mantenere la promessa di non permettere un voto sul rinnovo della Export-Import Bank. Cruz ha anche accusato il presidente Obama di divenire il “più grande finanziatore del terrorismo contro l’America” perché l’accordo sul nucleare “scongelerà” fondi bancari all’Iran che verranno usati per armare i nemici degli Usa.
Per potere attirare attenzione mediatica i politici le sparano grosse nella speranza di mantenersi a galla nell’opinione pubblica. Ciò avviene soprattutto durante le elezioni primarie. I media ci cascano e con abbastanza frequenza servono da messaggeri a questi individui che fanno poc’altro che strillare, ripetendo ad nauseam questi urli che attirano spettatori o lettori.
Non sempre gli urli hanno successo e a volte possono avere l’effetto contrario. L’uso dell’olocausto non  ha portato a Huckabee che attenzione negativa.
Il presidente Obama è stato vittima di questi feroci attacchi quando è stato accusato da esponenti repubblicani di non essere cittadino, di essere socialista, di essere musulmano e di non amare gli Stati Uniti. Quando però Trump ha accusato John McCain di non essere eroe, Obama non ha potuto fare altro che prendere le difese del suo avversario alle elezioni del 2008. McCain, come si sa, era stato catturato in Vietnam nel 1967 e torturato. Avrebbe potuto ottenere la libertà facilmente perché il padre era ammiraglio, ma preferì che altri prigionieri fossero liberati prima di lui.
Obama ha bollato  questo linguaggio incendiario come “vergognoso” per una campagna politica che riflette i leader del Partito Repubblicano. Ha ragione. Ma sparare grosso è divenuto quasi di rigore perché negli ultimi decenni bisogna urlare per rimanere sulla cresta dell’onda mediatica. L’ascesa della tv cavo, Internet, e i social media hanno dato a tutti l’opportunità di comunicare e crearsi un pubblico.  Questi nuovi strumenti hanno reso la comunicazione più “democratica”. Tutti parlano, scrivono e pubblicano.
In questa cacofonia assordante bisogna urlare più forte o sfociare nello show business per farsi sentire.  La politica è dunque divenuta “infotainment”, politica spettacolo, come ha detto recentemente Frank Bruni, autorevole opinionista del New York Times.
Non si comunica con ragionamenti razionali ma con “soundbites”, frasi ad effetto che possono ripetersi facilmente, “perle” concise che oltrepassano i rumori assordanti e penetrano un pubblico vasto.
Trump ci ha dimostrato di essere  il “maestro” di questo clima politico. I suoi sostenitori dimenticano le sue sparate offensive, le sue inconsistenze e i suoi insulti.
Poco a poco però, mentre si esce da questo clima politico di primarie e ci si avvicina all’elezione generale, il fuoco di paglia di Trump si spegnerà e gli americani sceglieranno un presidente responsabile che non comunica mediante soundbites ma attraverso ragionamenti limpidi. Alla fine si spera che la vera democrazia vada oltre le semplici e offensive soluzioni offerte da Trump.  Un ritorno alla civiltà auspicato da Jeb Bush? Almeno bisogna sperarci.

* Domenico Maceri docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com). 

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