Come avvenivano le Infiltrazioni mafiose negli appalti di Expo2015

La Guardia di Finanza di Milano ha eseguito 11 misure di custodia cautelare nell’ambito di un’indagine su presunte infiltrazioni della mafia negli appalti dell’Ente Fiera di Milano e di Expo 2015. Le accuse per gli arrestati sono, a vario titolo, associazione per delinquere, riciclaggio e frode fiscale.

Boccassini e GrecoStando alle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto, Ilda Boccassini, e dai pm Paolo Storari e Sara Umbra, le mani di Cosa Nostra sarebbero arrivate anche a quattro padiglioni nell’esposizione universale: quelli di Francia, Qatar, Guinea Equatoriale e dello sponsor Birra Poretti.

L’operazione “Giotto” – come è stata soprannominata – ha consentito di scoprire “un sodalizio tra imprenditori siciliani e lombardi che hanno evaso il fisco e hanno una consistenza di nero incredibile” , ha detto in conferenza stampa  Ilda Boccasini. “Parte di questo ‘nero’ è stato portato anche in Sicilia – ha detto il magistrato -. Il primo carico è stato intercettato qualche mese fa a Napoli”. Si tratta di circa 400 mila euro, che sono stati sequestrati. Erano destinati a Pietraperzia, nell’Ennese. “In manette è finito anche un avvocato iscritto al foro di Caltanissetta con l’ipotesi di riciclaggio – ha continuato il procuratore Boccassini -. Si sarebbe prestato a portare una somma contante in Sicilia da Milano. L’avvocato in prima battuta ha detto che quella somma era il ‘nero’ che aveva ricevuto da un cliente”.  Il procuratore Boccassini ha parlato  anche di “rilevanti infiltrazioni di Cosa Nostra”.

Quella scoperta nell’ambito dell’inchiesta “è una vicenda inquietante” ha affermato a sua volta il procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco. “Siamo a un punto delle indagini che ha portato alle misure cautelari ma le indagini stanno proseguendo. Ci sono tutta una serie di operazioni di riciclaggio all’estero ancora da verificare”. Il procuratore ha definito l’operazione di oggi “molto importante perché ancora una volta dimostra una stretta interconnessione tra organizzazioni criminali mafiose e criminalità economica”.

Al centro dell’inchiesta della Dda di Milano c’e’ il consorzio di cooperative Dominus Scarl specializzato nell’allestimento di stand, il quale ha lavorato per la Fiera di Milano dalla quale ha ricevuto in subappalto l’incarico di realizzare alcuni padiglioni per Expo tra cui quello della Francia e e Guinea equatoriale. Secondo le indagini le società  del consorzio erano intestate a prestanome di Giuseppe Nastasi il principale indagato, arrestato con il suo collaboratore Liborio Pace e l’avvocato del Foro di Caltanissetta Danilo Tipo, ex presidente della Camera penale della città siciliana. Le società coinvolte ricorrevano a una sistema di fatture false per creare fondi neri. Il denaro era poi riciclato in Sicilia dove gli indagati avevano legami con la famiglia di Cosa Nostra dei Pietraperzia.

Oltre agli arresti, sono scattati anche sequestri preventivi per diversi milioni di euro. Nell’operazione sono impegnati oltre 150 finanzieri.  I giudici di Milano, con un decreto, hanno disposto l’amministrazione giudiziaria della Novostand S.p.A controllata del gruppo Fiera Milano perché, stando alle ipotesi investigative, alcuni soggetti indagati per reati di stampo mafioso e riciclaggio “hanno avuto e hanno contatti con dirigenti e vertici”. È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta che ha portato oggi all’arresto di 11 persone.

E’ “chiaro” che un “meccanismo quale quello emerso dalle indagini è stato reso possibile da amministratori di aziende di non piccole dimensioni, consulenti, notai e commercialisti che in sostanza ‘non hanno voluto vedere’ quello che accadeva intorno a loro: lo scrive il gip di Milano Maria Cristina Mannocci nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 11 persone, tra cui Giuseppe Nastasi, l’amministratore di fatto del consorzio di cooperative Dominus Scarl che ha ottenuto in subappalto, attraverso una società controllata di Fiera Milano spa, anche lavori all’Expo. Il giudice parla di “gravi superficialità”, ma “certamente anche grazie a convenienze” da parte di “soggetti appartenenti al mondo  dell’imprenditoria e delle libere professioni”. E per “alcuni” di loro “si profila peraltro un atteggiamento che va oltre la connivenza”. Tra l’altro, scrive ancora il gip, nell’ipotesi accusatoria alla base dell’inchiesta “gli affari al nord servono anche per finanziare” un clan di Cosa Nostra a Pietraperzia (Enna).

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