TEATRO/ L’epopea familiare della banca Lehman (l’ultima regia di Ronconi)

di FEDERICO BETTA – Fino al 18 dicembre è in scena al Teatro Argentina di Roma Lehman Trilogy, l’ultima regia di Luca Ronconi, regista rappresentato in Italia e all’estero, che fino alla sua scomparsa (nel 2015) ha diretto il Piccolo Teatro di Milano.

Lehman TrilogyIl testo, scritto da Stefano Massini (che ha preso il posto di Ronconi alla direzione del Piccolo) ripercorre più di cento anni di storia per raccontare la fatica, il trionfo e la caduta dai fratelli Lehman. Dall’arrivo negli Stati Uniti del primogenito Henry, migrante tedesco arrivato in Alabama nel 1844, fino al crollo di una delle più grandi banche del mondo, la Lehman Brothers Holding Inc., nel 2008, i tre fratelli e i loro discendenti seguono pervicacemente interessi economici con una inarrestabile forza generativa. Da un negozietto angusto di abiti e tessuti, la famiglia attraversa la vendita di abiti da lavoro ai coltivatori del sud, l’intermediazione tra le piantagioni di cotone e i compratori del nord, la guerra di secessione, l’istituzione della prima banca dell’Alabama e poi continua su e su per il novecento, passando per due guerre mondiali, la terribile crisi del ’29 e la trasformazione degli istituti bancari in enti finanziari.

Il rapporto tra i fratelli e poi tra i figli dei patriarchi non è sempre facile, ma sembra che nel corpo dei Lehman non sia mai mancato quel fiuto per gli affari che li ha sempre posti un passo avanti alla storia, fino alla fine della dinastia che lascia le sorti della banca Lehman ai trader senza scrupoli di Wall Street che la portano al collasso finanziario.

Ronconi e Massini affidano lo spettacolo, diviso in due parti di circa due ore ciascuna, ai personaggi che raccontano le proprie vicende in terza persona e sviluppano una vera e propria epopea della ricchezza e della forza dell’impresa.

La scenografia, totalmente bianca, dove appaiono e scompaiono meccanicamente insegne commerciali, banchi da lavoro, piattaforme e sedie, tutti stilizzatissimi, immerge lo spettacolo in un’atmosfera astratta, senza contorni, come privata di una vera e propria collocazione. I protagonisti trasformano i loro corpi e le loro voci in un gioco grottesco dove i tratti di ciascuno (saggio e umile Massimo De Francovich, umano e simpatico Massimo Popolizio, istrionico e audace Fabrizio Gifuni) sono incisi con forza modulando con levità e decisione una recitazione precisissima.

La regia è di una pulizia al limite della perfezione e i pochissimi interventi luministici e sonori servono a sottolineare i momenti più intensi dell’epopea Lehman. Quando durante il venerdì nero del ’29 i primi consulenti finanziari si sparano, la scena si trasforma in un bagno di sangue a flash blu e con l’assalto giapponese a Pearl Harbour i suoni della guerra irrompono nella glaciale atmosfera bianca.

Lo sviluppo cronologico e le inquadrature emotive tengono le fila di un percorso complesso e la prima parte si snoda brillantemente incuriosendo per la semplicità del racconto e l’estrema bravura di tutti gli interpreti. Viene certo voglia di continuare la visione, ma nella seconda parte forse l’irruenza della realtà, che muta troppo velocemente per darne conto in breve tempo, rischia di sfilacciare il racconto e a tratti sembra che tutto precipiti senza una chiara scansione drammaturgica. La storia perde inoltre il carattere corale dell’epopea famigliare e si concentra sulle gesta luciferine dei discendenti che vengono travolti dalla sete di potere. Certo bravissimi anche Paolo Pierobon e Fausto Cabra, ma in platea si sente un po’ di stanchezza e pare quasi di guardare delle maschere prive di quell’atmosfera da racconto epico che ci aveva ammaliati le due ore precedenti.

 

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