TEATRO/ Oltre la solitudine: “Si nota all’imbrunire” di Lucia Calamaro all’Argentina di Roma, protagonista Silvio Orlando

“Si nota all’imbrunire”, regia di Lucia Calamaro. Con Silvio Orlando, Riccardo Goretti, Roberto Nobile, Alice Redini, Maria Laura Rondanini (foto Maria Laura Antonelli)
In scena al Teatro Argentina fino al 19 maggio, Si nota all’imbrunire”, l’ultimo lavoro di Lucia Calamaro, drammaturga e regista tra le più interessanti del panorama italiano contemporaneo. Lo spettacolo ha debuttato in anteprima nel 2018 al Teatro San Ferdinando per il Napoli Teatro Festival, le luci sono di UmileVainieri e le scene di Roberto Crea.

di ELENA VANNI – In questo lavoro tornano i temi cari alla drammaturga: le ossessioni della psiche umana, le relazioni interpersonali, la morte, il distacco ironico dalla propria vita e un focus profondo sul tema della solitudine, vista come silente tragedia della nostra contemporaneità. Protagonista dello spettacolo è uno splendido Silvio Orlando, che, rimasto vedovo, decide di ritirarsi in un paese spopolato, in un stato che lo vede sempre più “seduto” tra libri di poesia e continue allucinazioni percettive. Due anniversari si susseguono a distanza di un solo giorno, il compleanno del protagonista e i dieci anni dalla morte della moglie; attesi a commemorare i due eventi, il figlio Riccardo (Riccardo Goretti), la figlia Alice (Alice Redini), la figlia Maria (Maria Laura Rondanini) e il fratello Roberto (Roberto Nobile).

Una riunione di famiglia che si svolge in un’atmosfera rarefatta e al contempo tangibile, con quel tipico tocco della Calamaro che unisce ragionamenti filosofici di altissima profondità alle nostre più inconfessabili ossessioni quotidiane, riuscendo a far dialogare Sylvia Plath e i bollini della Coop.

Apparentemente tutto ruota intorno a Silvio (Orlando): il suo stato di salute preoccupa tutti, tutti ne parlano, e il protagonista pare affetto da “capochinismo”, un atteggiamento allarmante, che porta a fissare il pavimento per ore. «Uno non può fissare il pavimento perché gli piace?», ironizza Silvio, si difende attaccando la mania contemporanea per la quale lo stare in salute è un’ossessione, un obbligo morale, mentre lui sta omeopaticamente preparando il suo appuntamento con la morte.

Ma lo spettacolo si muove costantemente su due piani, tra la malattia del padre e la confessione, dove ogni attore, cercando di uscire dalla propria solitudine, si rivolge al pubblico e scova il coraggio di raccontarsi. I due piani, quello della confessione e quello della salute paterna, si intersecano continuamente, come i figli si alternano sulla panchina, dove, andando a consolare il padre, finiscono costantemente per cercare consolazione. Silvio si interroga sui rapporti i parentali, si chiede dove siano finiti i suoi bambini e ribadisce l’assurdità di un rapporto, quello genitore-figlio, che, passata l’età adulta, dovrebbe diventare altro: “nipote, cugino, lontano parente”.

Il tema della solitudine si affianca a quello della mancanza di confidenza con le persone a noi più vicine, e in tutto uno sfiorarsi e non toccarsi c’è costantemente la sensazione di essere in debito con chi ci ama, senza essere in grado di ricambiare, non trovando gli strumenti per farlo.

La Calamaro e lo splendido cast di attori ci regalano due ore dense di umorismo e riflessioni illuminanti, ci restituiscono tutta la bellezza della nostra fragilità e la necessità, nonostante la fatica, di imbattersi, scontrarsi e comprendersi negli altri.

 

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