Si aggrava il conflitto tra sunniti e sciiti dopo le 47 pene di morte in Arabia Saudita. Ambasciata in fiamme a Teheran

Ambasciata incendiata a teheranLe violenze tra sunniti e sciiti che investono la regione mediorientale si aggravano dopo che l’Arabia Saudita, bastione dell’Islam sunnita, ha annunciato  l’esecuzione di 47 persone indicate come “terroristi”, tra i quali il capo religioso sciita, Nimr al Nimr (foto a lato).

Nimr al NimrImmediata la reazione degli sciiti, dall’Iraq al Libano allo Yemen, dove tra l’altro la Coalizione araba a guida saudita che combatte i ribelli sciiti Houthi ha annunciato la fine di una tregua cominciata il 15 dicembre per l’avvio di negoziati.

L’Iran, potenza rivale di Riad nella regione, ha detto che l’Arabia Saudita pagherà “a caro prezzo” l’esecuzione di Al Nimr. E la Guida Suprema Ali Khamenei ha ricordato il religioso in un tweet con la sua foto sotto il monito “Il risveglio non si può sopprimere”. E infatti  in Iran la risposta è subito violenta, con l’ambasciata saudita a Teheran presa d’assalto (foto in alto) da decine di manifestanti, che hanno lanciato bombe incendiare contro la rappresentanza diplomatica e l’hanno saccheggiata, prima di essere dispersi dalla polizia.

Prima dell’assalto all’ambasciata si era avuto notizia di un primo attacco al consolato saudita a Mashaad, nel nord dell’ Iran: su twitter sono rimbalzati foto e filmati in cui si vedono alcuni dimostranti scalare la recinzione che protegge il consolato ed impossessarsi della bandiera saudita. Nelle immagini si vedono anche divampare delle fiamme.

 Teheran e Riad hanno convocato i rispettivi ambasciatori per reciproche proteste. Da Beirut il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran, ha affermato di ritenere “gli Usa e i suoi alleati responsabili” per le esecuzioni, perché “coprono i crimini del Regno”. Decine di sciiti hanno dato vita a una marcia di protesta nelle strade di Qatif, nell’Est dell’Arabia Saudita, dove viveva Al Nimr.

La televisione panaraba Al Jazira, che ha diffuso le immagini, non ha fatto cenno ad incidenti. Altre decine di persone hanno manifestato nel vicino Bahrein e la polizia ha fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperderle. Il Paese, dove la maggioranza della popolazione è sciita, è retto da una dinastia sunnita. I governi dello stesso Bahrein e quello degli Emirati Arabi Uniti hanno invece espresso approvazione per le esecuzioni, giudicandole parte della lotta al terrorismo. Dello stesso parere uno studioso della università islamica Al Azhar del Cairo, Fawzi al Zafzaf, intervistato dalla televisione Al Arabiya. Soltanto quattro dei 147 giustiziati di oggi erano sciiti. Tutti gli altri – tra cui un cittadino egiziano e uno del Chad – erano sunniti. Tra di loro, Fares al Shuwail, considerato il leader di Al Qaida nel Regno, in carcere dal 2004.

Secondo il ministero dell’Interno di Riad, la maggior parte dei giustiziati era stata condannata per attentati compiuti dalla stessa Al Qaida tra il 2003 e il 2006 in cui erano rimasti uccisi numerosi sauditi e stranieri. Il portavoce del ministero della Giustizia, Mansur al Qufari, ha negato ogni discriminazione confessionale, affermando che i processi sono stati regolari e hanno visto “garantiti i diritti della difesa”. Il portavoce del ministero dell’Interno, generale Mansur al Turki, ha detto che alcuni dei condannati sono stati decapitati e altri fucilati. Le esecuzioni sono avvenute a Riad e in altre 12 città. Lo Sheikh Al Nimr, che nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio e dove vive la maggioranza dei due milioni di sciiti del Regno, era stato condannato lo scorso anno da una Corte speciale a Riad per “sedizione” e per avere posseduto armi.

Il leader sciita aveva respinto quest’ultima accusa e aveva detto di non aver mai incitato alla violenza. Suo fratello, Mohammad al Nimr, ha riferito che la famiglia è rimasta “scioccata” dalla notizia delle esecuzioni, ma ha fatto appello alla popolazione sciita perché ogni protesta “sia pacifica”. Mohammad al Nimr è il padre di Ali, il giovane anch’egli condannato a morte per il quale la comunità internazionale si è mobilitata negli ultimi mesi, ma che non compare nella lista dei giustiziati oggi. Amnesty International ha riferito che Ali al Nimr è stato arrestato nel febbraio del 2012, quando aveva 17 anni, ed è stato condannato a morte per rapina a mano armata e per aver attaccato le forze di sicurezza.

Quella di ieri è stata la più grande esecuzione di massa in Arabia Saudita dal 1980, quando vennero messi a morte 63 militanti fondamentalisti per un assalto alla Grande Moschea della Mecca avvenuto l’anno precedente. Nel 2015 invece, secondo varie organizzazioni per i diritti umani, le esecuzioni nel Regno sono state almeno 157, il numero più alto negli ultimi 20 anni.

LA SCHEDA

LA DISTINZIONE TRA SUNNITI E SCIITI

Chi sono i sunniti e gli sciiti? Dove ha origine il loro conflitto?

I musulmani si dividono in due principali rami: sunniti e sciiti. I sunniti costituiscono tra l’87 e il 90 per cento della popolazione complessiva di musulmani nel mondo. Gli sciiti costituiscono il restante della popolazione musulmana: tra il 10 e il 13 per cento.

I membri delle due scuole di pensiero hanno coesistito per centinaia di anni condividendo i princìpi fondamentali dell’Islam, spesso chiamati “i cinque pilastri”:

– Shahadatein: l’accettazione di un unico Dio e di Maometto come suo ultimo profeta;

– Salah: le cinque preghiere quotidiane obbligatorie;

– Zakah: la donazione del 2.5 per cento dello stipendio annuale ai poveri;

– Siam: il digiuno nel mese di ramadan;

– Hajj: il pellegrinaggio a La Mecca da fare almeno una volta nella vita (obbligatorio per tutti quelli che sono in grado di affrontarlo).

Se questi princìpi sono pressoché identici, quali sono le differenze tra sciiti e sunniti? Riguardano i rituali, la legge, la teologia e il modo di organizzare la società.

Il significato dei termini sunnita e sciita

– Il termine sunnita deriva dall’arabo Ahl al-Sunnah che significa “il popolo delle tradizioni [di Maometto]”. I sunniti ritengono di essere la scuola di pensiero più ortodossa e tradizionalista dell’Islam.

– Il termine sciita deriva dall’arabo Shi’atu Ali, ovvero “sostenitori [politici] di Ali”, genero di Maometto.

La scissione

Subito dopo la morte del profeta Maometto nel 632, i musulmani si divisero in due rami: il primo, i futuri sunniti, sosteneva che il nuovo leader della comunità musulmana, ovvero il legittimo califfo, fosse Abu Bakr, compagno di Maometto e importante studioso islamico.

Il secondo ramo, i futuri sciiti, sosteneva che diventare califfo fosse invece un diritto riservato ai discendenti di Maometto e che quindi spettasse a Ali ibn Abi Talib, il genero del profeta, dal momento che Maometto non aveva figli maschi.

Molte scuole di pensiero sunnite ritengono che gli sciiti siano i peggiori nemici dell’Islam. A differenza degli ebrei e dei cristiani che sono considerati più semplicemente miscredenti, gli sciiti sono spesso visti come eretici e vengono accusati di venerare il loro Imam Ali e i suoi discendenti.

Qual è la differenza tra imam e califfo

Nell’Islam sunnita il califfo è il leader dell’intera ummah, comunità musulmana, ed è una figura politica, mentre l’imam è semplicemente una figura religiosa che guida la preghiera in moschea.

Nell’Islam sciita invece la parola imam è anche sostituita a califfo, e i dodici imam riconosciuti ufficialmente dagli sciiti, tutti appartenenti alla famiglia del profeta Maometto, sono da loro considerati come i leader spirituali, religiosi e politici della ummah.

Distribuzione geografica

La maggior parte degli sciiti – tra il 68 e l’80 per cento – vive in quattro Paesi: Iran, Pakistan, India e Iraq. L’Iran da solo ne ospita quasi 70 milioni, circa il 40 per cento della popolazione totale degli sciiti nel mondo.

Secondo il Pew Research Center, i Paesi a maggioranza musulmana sono 49, di cui Iran, Iraq, Azerbaijan e Bahrain sono gli unici a maggioranza sciita, e il Libano l’unico a non avere una netta maggioranza tra le due scuole di pensiero.

(Nella mappa qui sotto la distribuzione di sunniti e sciiti in Medio Oriente)

Nei Paesi a maggioranza sunnita gli sciiti appartengono spesso alle classi sociali più basse e vengono frequentemente perseguitati. Ciò ha aumentato il loro senso di oppressione, che ha radici profonde nella storia.

Undici dei dodici imam riconosciuti ufficialmente dagli sciiti sono infatti stati assassinati per mano dei regimi sunniti al potere. Anche per questo, gli sciiti si sono fatti notare sempre meno all’interno della società, vivendo talvolta anche nell’anonimato, almeno fino alla rivoluzione iraniana del 1979 che li ha portati al potere in Iran.

Da lì, la loro voglia di mettere fine alle persecuzioni e di affermarsi politicamente anche negli altri Paesi islamici li ha spinti a riorganizzarsi socialmente formando partiti e gruppi militanti.

L’impatto della violenza settaria su alcuni Paesi islamici

ARABIA SAUDITA – Il governo dell’Arabia Saudita è composto principalmente da sunniti e la stessa monarchia al potere appartiene al ramo sunnita. L’Arabia Saudita è in costante competizione con l’Iran sciita, che teme potrebbe creare disordini all’interno delle comunità sciite che vivono nei Paesi del Golfo: sia l’Iran che l’Arabia Saudita aspirano infatti a diventare la principale potenza nella regione.

BAHREIN – La maggioranza della popolazione del Bahrein è sciita. Tuttavia al potere vi è una monarchia sunnita. Ispirati dalla primavera araba, nel 2011 gli sciiti hanno cominciato a manifestare per i loro diritti. Il governo del Bahrein e i suoi alleati, tra cui l’Arabia Saudita, hanno represso con violenza le proteste, uccidendo centinaia di civili.

IRAQ – Per molto tempo, la maggioranza sciita del Paese è stata oppressa dal regime sunnita in Iraq, dove si trovano la maggior parte dei luoghi sacri per i musulmani sciiti. Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, sono saliti al potere gli sciiti e hanno cominciato a prendere di mira la comunità sunnita, torturata e perseguitata con squadroni della morte. In risposta alla crescente violenza nei loro confronti, i sunniti hanno organizzato diversi attacchi suicidi e attentati. La guerra civile non ha fatto che esasperare gli atteggiamenti nazionalistici degli sciiti al potere e ha in gran parte contribuito al rafforzamento del gruppo militante sunnita dell’Isis.

IRAN – Per l’Iran la cosa più importante è salvaguardare i suoi interessi regionali. Dopo la rivoluzione iraniana del 1979 che ha portato gli sciiti al potere, l’Iran ha cominciato a finanziare e incoraggiare le rivolte sciite nella regione orientale dell’Arabia Saudita, ricca di riserve di petrolio. Il governo iraniano sostiene anche il governo alauita (un ramo sciita) di Assad in Siria, che fa da ponte con il Libano, permettendo di continuare a finanziare le attività del gruppo militante sciita degli Hezbollah.

LIBANO – Il Libano è sempre stato abbastanza stabile, vista l’assenza di una netta maggioranza sciita o sunnita all’interno del Paese. Il potere è distribuito ugualmente: il presidente del governo libanese deve essere un cristiano, il primo ministro un sunnita e il portavoce del parlamento uno sciita. I conflitti si concentrano principalmente nel nord del Paese, ai confini con la Siria, dove il gruppo militante sciita degli Hezbollahsostiene il governo di Assad.

PAKISTAN – Soltanto il 10-15 per cento della popolazione musulmana del Pakistan è sciita e non ha alcuna influenza a livello politico. Per questo motivo gli sciiti del Paese sono spesso vittime di discriminazioni e attentati principalmente condotti dai due gruppi militanti sunniti alleati fra loro: Lashkar-e-Jhangvi e i Tehreek-e-Taliban Pakistan.

SIRIA – Il presidente al potere Bashar al-Assad appartiene alla minoranza degli alauiti (un ramo sciita). Le proteste contro il suo governo sono cominciate nel marzo del 2011 e sono state represse con la violenza. La guerra civile, tutt’oggi in corso, ha in parte contribuito a esasperare i sentimenti di odio e rancore tra sciiti e sunniti all’interno del Paese.

YEMEN – I ribelli houthi, presenti principalmente nel nord dello Yemen, sono sciiti e rappresentano circa un terzo della popolazione totale del Paese. Gli houthi sono riusciti a costringere alle dimissioni il presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale, e hanno così preso il controllo, nonostante la maggioranza di tribù sunnite nel sud del Paese non li riconosca. Una coalizione di Paesi arabi sotto la guida dell’Arabia Saudita sostiene l’ex presidente Hadi contro i ribelli houthi, che sono pro-Iran. Vaste parti del territorio dello Yemen sono inoltre sotto il controllo del gruppo militante sunnita Al Qaeda nella penisola araba, che si contrappone sia agli houthi che al governo di Hadi, e che da anni è preso di mira dallcontroversa campagna di droni americani all’interno del Paese.

(Scheda redatta da Sabika Shah Povia per www.tpi.it)

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