VERSO FRANCIA 2016/ Da Rivera aI prossimi Europei: la storia dei numeri sulle maglie dei calciatori e la polemica per il “10” azzurro dato a Thiago Motta

magliedi Raffaele Ciccarelli*

Seguire, oggi, una partita di un qualsiasi sport di squadra risulta abbastanza semplice, poiché lo spettatore può facilmente individuare il protagonista del momento attraverso il numero sulle divise di gioco. È, per certi versi, una cosa talmente ovvia, che nessuno ci fa più caso. Non sempre è stato così, però, una volta la numerazione non esisteva, e l’individuazione di colui, o coloro, che in quel momento stavano sviluppando un’azione di gioco, presupponeva una conoscenza quasi personale degli stessi atleti. Per capire le difficoltà, basta immedesimarsi per un attimo in quello che, all’epoca, era il mestiere di radiocronista: provate a immaginare quanto complicato fosse per Niccolò Carosio identificare i giocatori, magari in condizioni anche difficili, su campi fangosi e con visibilità limitata. Molto migliorò con l’introduzione dei numeri di gioco sulle maglie.

La storia della numerazione: l’inizio. In Inghilterra ciò avvenne già negli Anni Venti, in Italia il debutto della numerazione fu all’alba del campionato 1939/40, alla prima giornata, il 17 settembre. La numerazione era semplice, dal n. 1 al n. 11, partendo dal portiere e finendo all’ala sinistra, con una sequenza piuttosto rigida che seguiva l’ordine del sistema di gioco. Subito quei numeri entrarono nell’immaginario dei tifosi, contribuendo alla fascinazione della maglia attraverso il campione che la indossava. Immediatamente lo divenne quella, rigorosamente nera all’inizio, poi grigia prima del multicolor attuale, del portiere, la n. 1, così come la n. 9, del bomber per eccellenza, ma quella più affascinante di tutte fu subito, e per sempre, la n. 10. Con questo numero si identificava il giocatore tecnicamente più forte e rappresentativo della squadra, quello che era considerato il campione per eccellenza: Pelè, che nel Brasile, a 17 anni, ebbe questo onore, alzando la prima Coppa Rimet per i cariocas; Diego Armando Maradona, naturalmente, il Diez per antonomasia, proseguendo via via per Lothar Matthaüs, Zinedine Zidane, Andres Iniesta, fino ad arrivare a Leo Messi (nella foto: un collage di “numeri 10” fuoriclasse assoluti. Da sinistra: Messi, Puskas, Baggio, Maradona, Zidane, Matthaüs, Pelè, Rivelino, Platini e Hagi).

Il fascino del numero 10 nel Belpaese e la storia recente della numerazione. Questa fascinazione per il n. 10 c’è stata anche in Italia, naturalmente, con quel numero che ha conosciuto le spalle regali di Gianni Rivera, Roberto Baggio, Alex Del Piero, Francesco Totti. Il calcio moderno e il business delle maglie hanno portato, oggi, alla numerazione personale in stile sport americani, con tanto di nome, novità introdotta nel nostro Paese a partire dalla stagione 1995/96.

La polemica per il “10” a Thiago Motta. Tutto questo, però, non ha fatto perdere di fascino ad alcuni numeri, tra cui proprio il n. 10, per cui ha suscitato più di una voce di malumore quando, in vista dell’imminente spedizione in Francia per la disputa del Campionato Europeo, quel numero è stato assegnato a Thiago Motta, calciatore non propriamente raffinato e non in linea con i canoni che identificano chi lo indossa. Polemica che mi è parsa un po’ strumentale, per la verità, tesa più a lamentarsi per l’esclusione di Jorginho (chiaramente soprattutto dalla sponda partenopea) che per aver dato quel numero ad un giocatore dalle caratteristiche inappropriate all’immaginario dello stesso. In realtà, a mio avviso, questa scelta dimostra più che altro un’evidente mancanza di qualità di tutta la rosa, che sembra schiuderci poche possibilità sulla buona riuscita del torneo, anche se poi proprio noi italiani siamo bravi a reagire quando siamo sull’orlo del baratro, come ci insegna la storia.

Numeri 10 azzurri meno nobili. La stessa storia ci dice, poi, che quella maglia, in passato, non ha sempre conosciuto “scapole nobili”: oltre ai già citati, possiamo aggiungere Omar Sivori, Antonio Juliano, Egisto Pandolfini, ma non credo di ricordare fuoriclasse, tranne onesti pedatori, in Mario Bertini, Romeo Benetti, Salvatore Bagni o Nicola Berti, calciatori più di spada che di fioretto, tutti con il n. 10 sulle spalle con i colori dell’Italia ai Mondiali cui hanno preso parte. Ci si immalinconisce, quindi, pensando di non avere, speriamo solo per motivi generazionali, più fuoriclasse, ma non gridiamo allo scandalo: in quella grande epopea che fu la vittoria di Spagna nel 1982, la maglia n. 10 fu assegnata da Enzo Bearzot a Beppe Dossena, che non sarebbe mai sceso in  campo…

*Storico dello Sport

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