di ENNIO SIMEONE* – Sono trascorsi parecchi decenni da quando da ragazzo – dopo aver frequentato, con una decina di miei coetanei, alle lezioni di catechismo in preparazione del rito della Prima Comunione, nel convento del Padri Passionisti di Forino (in provincia di Avellino, dove mio padre esercitava il ruolo di segretario comunale e mia madre insegnava nella scuola elementare) – mi accostai a quel rito.
Avevo 11 anni e avevo partecipato con assiduità e con interesse al corso preparatorio a quel rito, promosso dai frati, che ci avevano conquistati anche mettendo a nostra disposizione una grande area del convento, dove potevamo giocare al calcio in un torneo appositamente organizzato.
Poi gli studi assorbirono sempre più il nostro tempo e stimolarono le nostre curiosità di studenti delle scuole medie, spingendoci alla ricerca di risposte ad interrogativi che la crescente curiosità stimolava i nostri interrogativi, i nostri dubbi, alla ricerca di risposte alle domande che sorgevano spontanee anche da frequentazioni politiche marginali. Tra queste la domanda nata dalla curiosità insinuata nella nostra mente da un motto: “La religione è l’oppio dei popoli”.
Un motto che avevo un giorno trovato come titolo di un libro di un esponente del Partito comunista italiano, un motto sul quale volli indagare, mosso dalla curiosità, e che spesso mi è tornato in mente in anni successivi, anche se poi era svanito, si era annebbiato nella folla degli slogan che via via si sono accumulati nella mia mente, per riaffiorare di tanto in tanto di fronte alle cronache delle vicende umane di cui la mia lunga professione di giornalista mi ha indotto ad occuparmi. E che è riaffiorato, prepotentemente, sanguinosamente, ancora una volta in queste giornate del conflitto tra gli ebrei di Israele e le confinanti popolazioni della Stretta di Gaza.
Non è il primo caso, nella storia del nostro tormentato mondo, di conflitto originato da atroci contrasti che nascono da rivalità religiose. Che, però, raggiungono vette di ferocia di gran lunga più sanguinose e spietate di molte che hanno le radici in interessi economici. E che inducono ad ammettere, con grande sconforto, che è proprio tragicamente vero che i conflitti di origini religiose sono intossicati da un veleno più micidiale di quelli originati da altri tipi di interessi, soprattutto perché più impenetrabili e dunque meno motivabili.
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