Ridda di ipotesi sul rapimento dei 4 italiani in Libia: anche quella di una rappresaglia degli scafisti

+++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++ ''Freedom for Gino, Filippo, Salvo e Fausto''. E' questo il messaggio apparso nel compound di Wafa, il secondo centro della Libia dove lavora l'azienda parmigiana della Bonatti. Lo striscione è stato fotografato e postato su facebook da alcuni colleghi dei quattro tecnici rapiti, fra di loro Manuel Bianchi che scrive ''Quello che è successo in Libia oggi poteva benissimo accadere a me fino ad un anno fa  ha commentato su facebook - Ci si reca in quei posti solo per lavorare e non per divertirsi; per farvi arrivare il gas con il quale vi riscaldate in inverno, con il quale vi raffreddate in estate (ebbene si) e con il quale vi fate da mangiare tutto l'anno. Per cui questa volta non ammetto "se la sono cercata", ma solo #Solidarietà''.

A 48 ore dal sequestro di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, dipendenti della società di costruzioni e manutenzione di impianti energetici Bonatti, manca ancora una rivendicazione ufficiale.

E mentre i servizi italiani sono al lavoro per individuare un canale ‘utile’, si moltiplicano le ipotesi su chi li abbia presi e sul perché. Vendetta, rappresaglia o estorsione? È molto “improbabile che il rapimento sia stato motivato da ragioni politiche, perché non sono state fatte rivendicazioni fino a questa mattina”, hanno tagliato corto dalla rappresentanza libica in Italia, aggiungendo che gli inquirenti locali sospettano anche “motivazioni criminali di trafficanti di esseri umani” che potrebbero aver agito per “rappresaglia contro la missione unilaterale che ha il compito di individuare le navi che salpano dalla Libia verso l’Europa”. C’è poi chi ipotizza la pista o meglio lo spettro dei terroristi dell’Isis. Ma per il momento si tratta solo di scenari, come quello che puntava il dito contro il gruppo Geish al Qabila, l’Esercito delle tribù, milizie tribali contrapposte a Fajr Libya. Un mistero che si infittisce considerata la realtà frammentata della Libia.

Può essere una richiesta di scambio con degli scafisti detenuti? “Non credo che possiamo escludere una pista, ma facciamo lavorare chi ha titolo a farlo e a farlo nel silenzio”: lo ha detto Angelino Alfano a Skytg24. C”he ha ammesso: Nessuno può dire se il rapimento possa essere attribuito alla lotta agli scafisti”. Il ministro non ha escluso alcuna pista riguardo al sequestro dei quattro italiani in Libia: “L’unica cosa esclusa è che si tratti con gli scafisti”.

“Tutti sono nel mirino: è nel mirino qualunque paese che si batta per la tolleranza, la civiltà e il rispetto delle vite umane”, ha spiegato il presidente Sergio Mattarella ai giornalisti che a Malta gli chiedevano se ci fosse un’offensiva fondamentalista in particolare contro l’Italia.

Il quotidiano online libico ‘Akhbar Libia24’, citando fonti di Sabrata, città sulla costa nord-occidentale del Paese, ha scritto che “i 4 italiani rapiti sarebbero stati portati in una zona desertica dove è facile trovare nascondigli”. Secondo le fonti, “i rapitori hanno fatto scendere gli italiani dalla loro macchina, e li hanno fatti salire in un’auto obbligandoli a lasciare i loro telefoni cellulari”. Il sito aggiunge che “l’autista dell’auto degli italiani è stato legato e abbandonato nel deserto”.

Intanto tutte le piste restano aperte, dai seguaci del Califfo ai gruppi di miliziani armati, alle bande di criminali, fino ad una ipotetica rappresaglia di trafficanti di esseri umani. Prudente la Farnesina, che ha definito prematuro fare delle ipotesi, mentre l’Onu ha chiesto l’immediato rilascio dei nostri connazionali.

Per la Farnesina è difficile fare ipotesi. Il ministro Paolo Gentiloni, che ieri aveva affermato che il rapimento non è una ritorsione contro l’Italia, questa mattina, incontrando l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Bernardino Leon, ha definito “prematuro” ed “imprudente dare interpretazioni politiche sul movente”

Il governo di Tobruk intanto ha aperto un’inchiesta e ha definito l’episodio indicativo dello stato della sicurezza nel Paese, sempre più precario.

Gentiloni: l’Italia non invierà migliaia di soldati in Libia – L’accordo di pace firmato una settimana fa dal governo di Tobruk e alcune fazioni politiche libiche “è la luce in fondo al tunnel” di una crisi che ha davanti a sé ancora molte giornate buie. E’ ottimista ma non si fa illusioni l’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, che è volato a Roma per incontrare il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e fare con lui il punto su una situazione, in Libia, che vede l’Italia in prima linea e non solo per il rapimento tre giorni fa di quattro tecnici della Bonatti. “Senza l’Italia l’accordo firmato in Marocco non sarebbe stato possibile, è un passo molto importante. Ora c’è una road map”, ha detto Leon, che, in conferenza stampa con il titolare della Farnesina, ha per un attimo tirato un sospiro di sollievo dopo 11 mesi di lunghe e difficili trattative. Ma, ha subito avvertito, “dobbiamo essere realisti. Ci sono ancora molte cose da fare”. Ma con l’incubo terrorismo sempre più vicino e la crisi dell’immigrazione che si aggrava ogni giorno adesso la comunità internazionale non vuole più restare a guardare e “sull’intesa scommette”, assicura Gentiloni.

Sulla necessita’ di una presenza di soldati in Libia, Leon è dell’idea che “se c’è l’accordo politico, non ci sarà la necessità di una missione militare forte, come nel caso di altri Paesi nella regione, ma di un lavoro di addestramento e formazione delle forze libiche che abbia anche una componente civile”. Questo è il quadro generale nel quale però non rientra la lotta all’Isis. “Quella sarà la prima sfida che il nuovo governo libico dovrà affrontare”, ha precisato Leon. “L’Onu e la coalizione internazionale daranno il loro sostegno ma non se ne occuperanno direttamente”.

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