Quanto costa la disparità di trattamento tra uomo e donna

Ecco alcuni dati significativi, per la ricorrenza dell’8 marzo,  di indagini e sondaggi sulle donne nella nostra società.

IL COSTO DELLA DISPARITA’ – Le disparità di genere nella società e nel mondo del lavoro hanno un impatto “sostanziale” sull’economia globale, con un costo in termini di reddito di circa 12 mila miliardi di dollari, pari al 16% del Pil mondiale. Lo calcola il Centro per lo sviluppo dell’Ocse, in uno studio pubblicato in occasione della giornata della donna.

La discriminazione nei confronti delle donne, sottolinea la presentazione dello studio, genera un duplice effetto negativo, perche’ “riduce sia il livello del capitale umano femminile, sia la partecipazione alla forza lavoro e la produttivita’ totale”. Se si riuscisse ad eliminarla e a raggiungere la parita’ di genere, calcola sempre l’Ocse, nel 2030 il reddito pro capite medio mondiale arriverebbe a 9.142 dollari, ben 764 dollari in piu’ di quello che si potrebbe ottenere se i livelli di discriminazione restassero quelli odierni. Un effetto che sarebbe benefico soprattutto per i Paesi meno sviluppati, che oggi subiscono piu’ pesantemente l’impatto della limitata partecipazione femminile al mondo del lavoro sul loro reddito nazionale. Per questi motivi, conclude l’organizzazione parigina, “eliminare la discriminazione verso le donne e promuovere le pari opportunita’ sono sia scelte economicamente intelligenti, sia leve importanti per una crescita sostenibile ed inclusiva”.

DONNE E RUOLI DI COMANDO – Sono il 29% le donne che occupano posizioni manageriali nelle aziende italiane. Il dato italiano del 2016 segna un +3% rispetto al 2015, e si posiziona al decimo posto nella classifica mondiale. E’ quanto risulta dal Rapporto del centro studi internazionali IBR (International Business Center) del network Grant Thornton International, diffuso in occasione dell’8 marzo che sottolinea come a fronte di un trend in crescita delle donne nel management delle aziende, il ruolo di amministratore delegato ha un andamento inverso, le donne sono solo l’11%, nel 2015 era il 14%. Il 36% delle aziende italiane non ha donne in ruoli di direzione, il dato è in calo rispetto al 40% del 2015. I paesi del G7 rilevano i dato peggiore con solo il 22% dei ruoli senior occupati da donne e il 39% delle imprese senza le donne in ruoli di alto livello. I paesi che hanno rilevato il dato più basso sono il Giappone, con solo il 7% ruoli di alto livello tenuti da donne, e la Germania, con il 15%. L’Europa orientale e i paesi ASEAN riportano le più alte percentuali di donne nella leadership al 35% e 34%, rispettivamente, e solo il 16% e il 21% delle imprese con nessuna donna in direzione. La Russia si posiziona in cima alla lista dei singoli paesi con il 45% dei ruoli senior occupati dalle donne, seguita da Filippine a 39%, dove solo il 9% delle imprese non hanno le donne nel top management.
DIFFERENZE RETRIBUTIVE. Celebrazioni e annunci per la festa della donna, ma continua ad esserci un gap in Europa tra donne e uomini sul lavoro, sia per lo stipendio che nella scelta o meno del part-time, che aumenta con il numero di figli. L’Italia resta però tra i Paesi ‘virtuosi’ per uno degli scarti salariali minori registrati tra i 28, mentre si trova a metà classifica per numero di donne con figli che finiscono per scegliere di lavorare a tempo parziale. E’ quanto emerge dai dati Eurostat diffusi in occasione dell’8 marzo.

In media nell’Ue una donna a pari mansioni di un uomo guadagna il 16,1% in meno (cifre 2014): i paesi che più discriminano sono Estonia (28,3%), Austria (22,9%), Repubblica ceca (22,1%), Germania (21,6%) e Slovacchia (21,1%). L’Italia è invece tra i ‘primi della classe’, con una differenza di stipendio tra uomo e donna solo del 6,5% terza dietro Slovenia (2,9%) e Malta (4,5%), e seguita da Polonia (7,7%), Lussemburgo (8,6%) e Belgio (9,9%).

Le donne lavorano inoltre molto più part-time che gli uomini, e più hanno figli più aumentano i part-time: la media Ue registra il 20% di donne che lavorano a tempo parziale, percentuale che sale al 31,% con un figlio, a 39,2% con due e a 45,1% con tre o più. Per gli uomini, invece, è dell’8,2% per chi è senza figli, e scende a 5,1% con un figlio, 4,8% con due mentre sale a 7% con tre o più. L’Italia si situa sopra la media Ue ma in posizione intermedia, con 27,8% per le donne senza bambini, al 35,7% con uno, al 42,1% con due e al 45,1% con tre o più. I Paesi in cui è più alta la correlazione donna-madre-riduzione del tempo di lavoro sono la Germania (25,3% di part-time per le tedesche senza figli, che schizza a 59,4% quelle con un figlio, 74,6% con due, 77,8% con tre o più), poi Austria (rispettivamente 28,9%, su a 57,8%, 73,1% e 73,2%), Gran Bretagna (16,3%, poi 44,5%, 58,2% e 62%) e Olanda (53,6%, e su a 78,7%, 86,1%, e 87,3%).

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