POESIA/ Nuova edizione di “Spazi infioriti” di Agata Cesario

E’ uscita, a 28 anni dalla morte dell’autrice, la nuova edizione di “Spazi infioriti”, la raccolta di poesie datate 1981 di Agata Cesario, la poetessa strappata alla vita da un male incurabile nel fiore degli anni. Il paese natìo (Cellara, in provincia di Cosenza), l’ha ricordata lo scorso anno intitolandole per iniziativa del sindaco una piazza e una targa che la celebra come “la poetessa di Cellara” e con una grande festa che il giornalista Pino Nano, in un lungo messaggio, definì “la festa di Agata e della sua famiglia”. Fu una cerimonia (foto a lato) scandita dai ricordi personali e dalle testimonianze di chi l’aveva frequentata non solo come insegnante, ma anche come “animatrice” della comunità, con la quale amava confrontarsi e che la chiamava per iniziative in campo religioso come in campo culturale e sociale.

Il fratello Giacomo, giornalista vaticanista, ha chiesto al professore Francesco Sisinni – una delle figure di spicco della cultura italiana, nominato da Giovanni Paolo II membro della Pontificia Commissione dei beni culturali ecclesiastici – una analisi dei sentimenti che si riflettono in quella raccolta poetica. Un’analisi che proponiamo volentieri ai nostri lettori per la ricchezza e la profondità dei richiami culturali che guidano la recensione.

 Il piccolo mondo antico

negli “Spazi infioriti”

di Agata Cesario

di FRANCESCO SISINNI*

Comprendere un’opera d’arte, ovvero, saperla leggere ed interpretare è certamente un fatto di cultura, connesso com’è alla disponibilità di un’accorta, quanto avanzata metodologia ermeneutica. E, tuttavia, intelligerla, ovvero indagarla ontologicamente, oltre e più che semanticamente, è soprattutto un fatto di empatia, che misteriosamente consente l’immedesimazione del Lettore nell’Autore, proprio nel momento creativo dell’opera stessa: Poiesis.

L’ovvietà di siffatta riflessione, che, come noto, rinvia alla vasta produzione estetica e linguistica, da Baumgarten a Croce, da Panofsky ad Heidegger, non delegittima, comunque, assumerla come premessa essenziale, là ove, come qui, rileva il debito di lettura alla capacità empatica, appunto.

Dunque, un’esperienza di vita breve, ma intensa – quella di Agata Cesario – che, distillata in grumi di poesia, è stata appena sospinta dal timido soffio dell’affetto fraterno tra le mie carte e i miei libri ed ora è qui perché anch’io, più che la conosca, l’ascolti, anzi la senta, tra gli echi ineludibili di una terra avara e bella, cui han prestato voce innumeri scrittori e poeti anche del nostro tempo, dal calabrese Corrado Alvaro a Giuseppe Berto, che calabro non era.

E così ho letto e riletto questa silloge “spazi infioriti”, che si accredita, anzitutto, con la semplicità accattivante di una edizione essenziale, ove le liriche, 35 (se si esclude quella fuori testo: “Come un’alba novella”), si presentano a mo’ di palinsesto, che ti invita ad attraversarlo, scandagliandovi non evi, ma eventi, anzi stati d’animo che, coinvolgendo, trascinano fino all’ultimo fondale di quel mare profondo, che è l’anima, là ove nascono le memorie, senza tempo!

“Senza tempo”, come recita l’incipit della raccolta e proprio come insegna Agostino nelle sue Confessioni, giacché il tempo, come realtà, non è e se ne parliamo e lo misuriamo è solo perché esso appartiene all’anima, ove il passato è memoria, il futuro è attesa e il presente è attenzione.

Or è che da questo fondale senza tempo, solo poche sillabe si fanno parola e solo alcune parole, emergendo in superficie, tra macchie ed abrasioni, rivendicano senso: Nebbia; Paesaggio intimo ed esterno (la madre, il padre, il paese); Dolore; Nostalgia; Fede.

La nebbia, che ricorre ripetutamente nei versi della Cesario, non è un ingrediente di pittura surrealista, ma è piuttosto una presenza che ingombra l’assenza: divora, copre, vagheggia, eppure vela e ri-vela.

E là ove appena si dissolve, ecco apparire quel nostro piccolo mondo antico, la cui storia, uguale per tutti, diversa per ciascuno, pensavi di aver consegnato per sempre a quel lontano commiato sofferto e che, invece, ti porti dentro, ineludibilmente ovunque, sempre!

Ed ecco le note di nenia struggente, che ridisegnano su orizzonti improbabili gli occhi ostinatamente comprensivi della madre, mentre girandole e fiammelle, inventate per un giorno di festa dal padre, inutilmente si rincorrono nel caleidoscopio delle immagini cangianti, ove tutto fugge … e ritorna: le case di pietra, il dedalo dei vicoli, i vecchi balocchi, riproposti, sublimati, dalla pungente nostalgia.

La nostalgia! Certo la Cesario ha pensato a Plotino, giacché conosce bene questo sentir sottile e inquietante, che i moderni chiamano malinconia. Ma la sua poesia non è epica e perciò non ha bisogno né del mito di Ulisse, né del profeta dell’eterno ritorno. La sua è il rimpianto di un Eden perduto, fatto di piccole cose, ma, anche di “grandezze non comprese”.

Di qui “l’antico dolore”. E già, perché questo libretto è umido di lacrime non piante. È un dolore che non grida, ma singulta quello che è “stanco di passare sulla consueta strada”. Non infinito, come nello Schopenhauer, né cosmico, come nel Leopardi ma, semplicemente esistenziale, connesso alla problematicità della storia, contro cui s’erge la sfida, né può spegnersi “l’ansia di raggiungere l’estremo spiraglio”.

Ed ecco, perciò, finalmente la Fede: la fede, unica alternativa, come avverte Kierkegaard, alla disperazione.

E perciò, dalla strada insanguinata del Calvario, giunge alto il suo grido: “Non abbandonarmi Signore” giacché tu sai “la paura dei miei giorni”; “Donami pace e consolazione”, perché tu sai che “sono priva di tutto”.

Solo la fede, infatti, può far sperare in un domani “Come un’alba novella”: poesia, fuori testo, questa, che si può leggere come “postscriptum” della presente silloge, ma anche e meglio, come introduzione di quella, qua e là annunciata, ma che Agata non ha avuto il tempo di lasciarci.

*Francesco Sisinni, dantista, docente alla Lumsa, è stato direttore generale per i Beni Librari del ministero della Cultura, ed ha avuto anche una esperienza di sindaco a Maratea

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