OSSERVATORIO AMERICANO/ Luci e ombre nei piani economici di Hillary e di Trump

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* -Il piano economico di Trump farebbe “risparmiare quattro miliardi alla sua famiglia. Non aiuterebbe affatto il 99,8 per cento degli americani”. Con queste parole Hillary Clinton ha bollato il piano economico del suo avversario Donald Trump. La Clinton si riferiva all’eliminazione della tassa di successione proposta dal candidato repubblicano. L’ex first lady ha continuato a dipingere il piano di Trump come favorevole ai ricchi mentre ha caratterizzato il suo come benefico per la classe media ed i poveri. La Clinton non ha tutti i torti. Trump ridurrebbe le aliquote creandone solo tre di 12, 25 e 33 per cento. La stragrande maggioranza dei risparmi andrebbe all’uno per cento mentre per l’ottanta per cento degli americani non cambierebbe quasi nulla.
La Clinton invece aumenterebbe l’aliquota massima attuale dal 39 al 43 per cento per  redditi di un milione o più.  Inoltre vi sarebbe una supertassa del quattro per cento per i redditi superiori ai cinque milioni. Dato che i benestanti spesso pagano aliquote più basse della classe media approfittando di sgravi fiscali la Clinton includerebbe anche la “Buffett rule” che garantisce una tassa minima del 30 per cento per i redditi di un milione di dollari annui o più. Per la candidata democratica si tratta di giustizia fiscale considerando il fatto che negli ultimi anni la maggioranza dei profitti sono andati agli ultra ricchi.
Per aggiungere qualcosa alla giustizia fiscale l’ex first lady offrirebbe un nuovo credito per ricompensare le corporation che stabiliscono piani di “profit-sharing” con i loro dipendenti. In periodi di vacche grasse, secondo la Clinton, anche i lavoratori dovrebbero ricevere una parte dei profitti che emergono mediante il loro sudore. Per continuare con la giustizia fiscale la candidata democratica aumenterebbe il salario minimo federale da sette dollari e venticinque centesimi a dodici dollari l’ora. Qui c’è poca differenza con Trump che ha annunciato un simile aumento che raggiungerebbe dieci dollari.
Per quanto riguarda il salario minimo ambedue candidati hanno modificato le loro proposte. Nella piattaforma democratica, negoziata dalla Clinton con Bernie Sanders, suo rivale nelle primarie, il salario minimo dovrebbe aumentare a quindici dollari l’ora. Riducendolo a dodici la Clinton farebbe marcia indietro venendo meno all’accordo raggiunto sulla piattaforma democratica, come  è stato dimostrato anche da Trump, il quale aveva dichiarato che il salario minimo era troppo alto, poi che bisognava aumentarlo, e infine la più recente idea di aumentarlo a dieci dollari.
Entrambi i piani investirebbero sulle infrastrutture considerate obsolete dall’American Society of Civil Engineering, specialmente i ponti, le strade, i porti e gli aeroporti. La differenza però consiste nel fatto che  la Clinton troverebbe i soldi nelle tasche dei ricchi mediante tasse più alte mentre Trump crede che con la riduzione delle tasse l’economia crescerebbe e pagherebbe le spese. Si tratta di un sogno perché gli analisti hanno rilevato che il piano di Trump aumenterebbe il debito nazionale che non sembra preoccupare il candidato repubblicano.
Trump in sintesi ricade nell’economia di “trickle-down” che vede  meno tasse ai ricchi come strumento di benessere economico per tutti. La riduzione delle tasse ai ricchi è però un mito, come ci dimostrano le alte tasse fino al 50 per cento in Paesi dell’Unione Europea come la Germania e Paesi scandinavi che producono  economie competitive e programmi sociali molto solidi. La Clinton in effetti farebbe piccoli passi imitando anche se di poco la struttura fiscale di questi Paesi.
Anche la Clinton però dimostra una certa inconsistenza con i trattati di libero scambio. Nel suo recente piano ci dice di essere contraria al TPP (Trans-Pacific Partnership) ma in passato era favorevole. Trump è contrario perché crede che riduce i posti di lavoro. Strano che in questa situazione il candidato repubblicano si allontani dall’ortodossia del suo partito che di norma  favorisce questi trattati, che in linea generale sono supportati dalle corporation, alleate tradizionali del Gop.
Il piano economico della Clinton non sarebbe molto diverso da quello dell’attuale presidente Barack Obama. Quello di Trump rientra nella tradizione del Partito Repubblicano eccetto per la sua presa di posizione isolazionista sui trattati di libero scambio. Quale dei due si potrebbe mettere in pratica?

Al momento i sondaggi ci dicono che la Clinton ritornerà alla Casa Bianca nel 2017 non come first lady ma come presidente. Mettere in pratica il suo piano non sarebbe facile. Tutto dipende non solo dai risultati presidenziali a novembre ma anche di quelli per il Senato e la Camera. Una riconquista democratica del Senato sembra probabile mentre per la Camera si prevede un esito diverso. I repubblicani, anche con il controllo di una sola delle due Camere, si sono dimosrati maestri di  ostruzionismo. Obama ne sa qualcosa. Hillary Clinton farebbe meglio di lui?

*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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