OSSERVATORIO AMERICANO/ L’aumento del salario minimo: gli Stati alla riscossa

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI – Nelle elezioni primarie del Partito Democratico Bernie Sanders aveva espresso il suo forte sostegno all’aumento del salario minimo a quindici dollari l’ora. Hillary Clinton preferiva dodici dollari come cifra massima, ma poi, per avvicinarsi ai sostenitori del suo avversario, aveva anche lei accettato i quindici dollari benché con scarso entusiasmo. Sappiamo che con l’elezione di Donald Trump e la maggioranza repubblicana in ambedue le camere il salario minimo federale rimarrà a  7,25 dollari l’ora.

Le recenti elezioni non hanno sorriso ai democratici né alla classe bassa ma qualche spiraglio di luce si è visto con il salario minimo. L’Arizona, il Colorado, il Maine e il Washington hanno aumentato il salario minimo mediante referendum. Tre di questi Stati sono “blue”, ossia quelli che tipicamente tendono verso il Partito Democratico, mentre l’Arizona è un “red state” che pende verso il Partito Repubblicano. Questa visione si è confermata anche nelle recentissime  elezioni presidenziali che hanno visto l’Arizona aggiungersi alla colonna di Trump e gli altri tre a quella di Hillary Clinton.
Questi quattro Stati non hanno raggiunto la cifra di quindici dollari l’ora come salario minimo auspicata da Sanders, ma vi si sono avvicinati fissando dodici dollari l’ora come meta da raggiungere. Nel caso dello Stato di Washington la cifra del salario minimo sarà 13,50 dollari rispetto a quella attuale che è di 9,47. Questa cifra si applicherà a tutti i lavoratori dello Stato, anche se l’aumento sarà graduale e si arriverà a 13,50 dollari nel 2020. Bisogna però notare anche che in alcune città dello Stato come Seattle e la zona dell’aeroporto Seattle-Tacoma (SeaTac) il salario minimo era già stato approvato a quindici dollari l’ora. Da rilevare anche che in Arizona, Washington e Colorado l’aumento include anche ore di congedo per malattia (1 ora pagata per ogni quaranta ore di lavoro).

L’aumento del salario minimo è stato tracciato dagli Stati liberal come la California, New York, Washington e Oregon  in tempi recenti. Ma anche “red states” come il Nebraska, l’Arkansas, l’Alaska e il South Dakota nel 2014 lo hanno aumentato, anche se la cifra è al di sotto di quindici dollari l’ora. Nella recentissima elezione però il South Dakota ha confermato la cifra approvata nel 2014 bocciando  (70 per cento “no”) un referendum che mirava a un salario minimo inferiore per lavoratori al di sotto di diciotto anni.
L’opposizione all’aumento del salario minimo, tradizionale del Partito Repubblicano, si concentra sul possibile effetto negativo nell’economia. Preoccupa la perdita di posti di lavoro. In realtà, nulla di ciò è accaduto nella città di Seattle, che aveva già aumentato il salario minimo a 15 dollari l’ora. L’economia della più grande città dello Stato di Washington e della regione del Nord Ovest del Pacifico continua ad andare a gonfie vele. Una delle probabili ragioni sta nel fatto che i lavoratori  spendono tutti questi soldi extra per vivere, investendoli dunque nell’economia  e servendo da stimolo per la crescita. Aiutano anche a ridurre la pressione sui servizi governativi  riducendo i bisogni di sussidi, alleggerendo dunque la pressione sui contribuenti. Gli aumenti al salario minimo mettono anche pressione verso l’alto per coloro che guadagnano poco più della soglia del salario minimo.
Al di là degli ovvi benefici degli aumenti del salario minimo esistono anche dividendi politici anche se spesso non si riflettono al livello nazionale. Il 75 percento degli americani favorisce, per esempio, l’aumento del salario minimo a 10,10 dollari l’ora mentre il 63 per cento sostiene che 15 dollari sia la cifra giusta, secondo uno studio del Pew Research Center.
Il salario federale di 7,25 dollari è dunque molto basso dato che non viene aumentato dal 2009. Questa cifra però nasconde la triste realtà del possibile salario minimo di 2,50 dollari l’ora in vigore in 17 Stati americani per lavoratori che ricevono mance. L’idea è che le mance colmeranno il divario fra 2,50 dollari e 7, 25. Ciò spesso non avviene.
Bisognerebbe dunque eliminare questo salario bassissimo che richiama Paesi sottosviluppati invece che una nazione ricca come l’America. L’elezione di Trump, avvenuta in parte con voti dei poveri, lascia poco da sperare. Spetta dunque agli Stati e città migliorare i salari dei più poveri mediante leggi che oltrepassino il minimo del governo federale.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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