OSSERVATORIO AMERICANO/ La rimozione delle statue confederate e l’uguaglianza

di DOMENICO MACERI – “Dove andremo a finire? La rimozione del generale Lee ci condurrà allo scompiglio per Thomas Jefferson? Causerà la fine di George Washington?” Il presidente Donald Trump intorbidiva le acque con queste domande per mettere in dubbio la rimozione di una statua di Robert E. Lee dopo la vicenda di Charlottesville e la morte di una giovane americana in una manifestazione di suprematisti.
Trump usa spesso la tattica di mettere in dubbio la realtà per portare l’acqua al suo mulino. Aspramente criticato sia  da sinistra che da destra per la sua ambigua reazione sui gruppi suprematisti e per non avere chiaramente condannato il nazismo, Trump si rifugia nell’incerta realtà. Il 45esimo presidente però non vede la differenza fra ciò che rappresentano Washington e Jefferson e i simboli suggeriti da Lee.
A cominciare dal fatto basico che i primi due idearono e lottarono per creare la nazione mentre il terzo usò tutte le sue forze per dividerla in due. Lisa Richardson, scrivendo per il Los Angeles Times, la mette in termini più netti quando dice che la comparazione contrasta un patriota e un traditore.
La Richardson è afro-americana ma discendente di un soldato confederato bianco. L’editorialista nota anche che il 29 per cento del DNA degli afro-americani ha origini europee, frutto in grande misura di rapporti fra padroni e schiave. Lee ovviamente non è visto con occhi benevoli dagli afro-americani considerandolo simbolo di quelli che lottarono per mantenere lo status quo della schiavitù. Con la sconfitta degli Stati Confederati nel 1865 gli afro-americani ottennero la libertà incluso la cittadinanza garantita dal 14esimo emendamento del 1868. Dopo la fine del periodo chiamato “Reconstruction” nel 1877, che mirava a ricucire il Paese,  gli afro-americani furono però lasciati al loro destino nel Sud ed infatti in grande misura si ritornò al sistema anteriore alla guerra.
La discriminazione continuò con le cosiddette leggi di Jim Crow che legalizzarono il concetto di “separati ma uguali” imponendo la separazione razziale con servizi distinti per afro-americani e bianchi. In effetti i bianchi ripresero il potere  creando un sistema locale e statale poco diverso da quello esistente prima della guerra civile. Le condizioni degli afro-americani migliorarono dopo la Guerra Civile ma non di molto. Non si tratta solo della mancanza di uguaglianza di diritti ma anche di linciaggi con la creazione del Ku Klux Klan ed altri gruppi di legalità dubbia. Il gruppo Equal Justice Initiative ci dice per esempio che vi furono almeno 4.084 linciaggi  nel periodo fra il 1877 e 1950.

Il ritrovato potere dei bianchi nel Sud dopo la Guerra Civile ci viene anche dimostrato dalla costruzione dei simboli della Confederazione con più di 700 statue  in proprietà pubbliche in tutto il Paese ma principalmente nel Sud. Nomi di strade e scuole  che ricordano i confederati sono anche tipiche  nel Sud. Questi monumenti furono eretti in grande misura come simboli del ritrovato dominio dei bianchi. Volevano chiarire chi comanda.
Per i bianchi questi simboli rappresentano la loro storia ma per gli afro-americani un passato doloroso di discriminazione che in un certo modo continua tutt’oggi. Il fatto che i suprematisti attuali abbiano adottato alcuni dei simboli confederati  come la bandiera colpisce però non solo gli afro-americani ma tanti altri come ebrei, musulmani, ed altri di diverse religioni rifiutati dai suprematisti.

L’uso della bandiera confederata nelle mani dei suprematisti ci ricorda che la vittoria del Nord nella Guerra Civile non è stata totale. Le bandiere e i simboli dei perdenti non vengono celebrati in luoghi pubblici ma vengono relegati nei musei come documenti storici. Erigere statue celebrative a generali ed altri soldati sconfitti non fa parte della storia tipica ma in molti Stati del Sud vengono apprezzate. In Virginia, per esempio, il 61 per cento dei residenti le vuole mantenere nonostante il fatto che per gli afro-americani rappresentano l’epoca della schiavitù.

Le cose però stanno cambiando soprattutto nelle città del Sud a causa degli aumenti di individui di gruppi minoritari ed immigranti creando in effetti centri cosmopoliti. Le grandi città del Sud si stanno convertendo in oasi “blue”, ossia tendenzialmente democratiche. Paradossalmente le grandi statue che commemorano la Confederazione si trovano proprio in queste città.
La rimozione delle statue però sta avvenendo poco a poco anche per la pubblicità dei gruppi suprematisti e le loro manifestazioni che ci ricordano l’esistenza del razzismo. Lo ricordano anche alcuni dei sindaci di queste grosse città come New Orleans dove il consiglio comunale ha approvato la rimozione di parecchie statue celebrative della Confederazione. Il sindaco, Mitch Landrieu, in un noto discorso, ha chiarito che le statue che onorano il passato confederato danno legittimità al concetto razzista  della superiorità dei bianchi. Landrieu cita il vice presidente della Confederazione Alexander Stephens il quale aveva sostenuto in un discorso che “la pietra angolare della Confederazione  si basa nella grande verità che i negri sono inferiori ai bianchi” e che “la schiavitù è la loronormale e naturale condizione”. Landrieu continua a dire che ci vorrebbero monumenti alle navi degli schiavi e altri per ricordare i linciaggi per mantenere viva la memoria dei sacrifici, il dolore e la vergogna affrontate dalla sua città.

L’America è cambiata in meglio nel corso della sua storia, come ci testimonia il fatto che l’ex presidente era Barack Obama, un afro-americano. Ciononostante, come ha spesso detto il 44esimo presidente, molto rimane da fare. Le manifestazioni dei suprematisti, con le loro idee ripugnanti,  paradossalmente ce lo ricordano. Rimuovere statue che inneggiano al razzismo è però un altro passo avanti nella lotta contro la discriminazione.

*Domenico Maceri, docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com

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