OSSERVATORIO AMERICANO/ Il commiato di Obama: progressi ma ancora molta strada da fare

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* –

“Ho imparato qui che il cambiamento avviene quando la gente comune si impegna, collabora e lo esige”. Con queste parole il presidente uscente Barack Obama descriveva Chicago e i suoi anni passati da attivista sociale e politico  nella sua città “adottiva” durante il suo discorso di commiato dal  McCormick Place Convention Center  davanti a 20 mila presenti.  Il discorso di commiato del presidente negli ultimi decenni è stato solitamente trasmesso dalla Casa Bianca, ma Obama ha voluto chiudere il circolo con il suo ultimo discorso da dove aveva iniziato la carriera  di attivista nel 1985 e quella politica che lo condusse alla Casa Bianca.
Obama ha ovviamente passato in rassegna i suoi otto anni da presidente soffermandosi in particolare su quello che il Paese è riuscito a realizzare sotto la sua guida. In politica interna ha ricordato la rinascita economica dopo la profonda crisi ereditata dal suo predecessore George W. Bush, la disoccupazione scesa al di sotto del cinque per cento, la crescita dei salari, la creazione di undici milioni di posti di lavoro,  e ovviamente Obamacare, la riforma sulla sanità che ha fornito assicurazione medica a 22 milioni di americani.

In politica estera  ha ricordato il trattato di Parigi sul riscaldamento globale, l’apertura a Cuba, l’accordo con l’Iran per impedire la proliferazione nucleare,  e l’eliminazione di Osama bin Laden. Obama ha anche detto che gli Stati Uniti sono l’economia e il potere militare numero uno al mondo, una lieve stoccata a Vladimir Putin, che in tempi recenti sta cercando con le sue “avventure” militari di ritrovare il prestigio perso dalla Russia con la scomparsa dell’Unione Sovietica.
Obama ha riconosciuto però che sia in politica interna che estera rimangono molte sfide e ha dedicato una buona parte del suo discorso a ripassare i pregi dell’America rifacendosi agli inizi storici degli Stati Uniti. Il presidente ha fatto riferimento al “dono” che i padri fondatori ci hanno dato con la costituzione e gli ideali espressi più di duecento anni fa, in particolar modo l’idea dell’uguaglianza. Si tratta per Obama di contenuti su un pezzo di carta che prenderanno forma se il popolo americano li metterà in pratica. Obama ha precisato che i progressi sono avvenuti nel corso della storia senza però raggiungere completamente gli ideali dei padri fondatori.
Obama però è ottimista e ha riconosciuto che i problemi razziali sono diminuiti notevolmente nel corso della storia. Sarebbe stato impossibile immaginare solo una decina di anni fa che nel 2008 un afro-americano sarebbe divenuto presidente e avrebbe abitato nella Casa Bianca, che, come ci ha ricordato la moglie Michelle in uno dei suoi memorabili discorsi, fu costruita in parte da schiavi. Molto però rimane da fare e Obama ha incoraggiato il popolo americano a non cedere alla tentazione del cinismo politico che alcuni coltivano come strumento per demonizzare il governo e scoraggiare la partecipazione. Si tratta proprio del contrario: bisogna anche candidarsi e non temere la comunicazione con  quelli che hanno idee diverse dalle nostre alla ricerca di un  terreno comune.
Una strategia che lui ha usato nei suoi otto anni di presidenza senza però ottenere moltissimi risultati a causa dell’ostruzionismo feroce del Partito Repubblicano. Ciononostante Obama non si arrende, non vedendo gli avversari politici come “nemici” ma come individui con cui bisogna cercare di cooperare. Obama in sintesi rimane ottimista e anche se riconosce i progressi fatti dagli americani per raggiungere un’unione perfetta, sa benissimo che si tratta di un percorso. Bisogna partecipare e lottare senza però guardare al passato come l’età dell’oro a cui si anela ritornare, come ci dice lo slogan del presidente eletto Donald Trump. La democrazia per Obama è un continuo lavoro di cui lui stesso è emblema. Con la sua elezione nel 2008 e rielezione nel 2012 Obama ha cancellato l’idea che il presidente degli Stati Uniti deve essere un uomo bianco. In questa elezione del 2016 la maggioranza degli elettori americani ha continuato con il percorso verso la perfezione preferendo una donna, Hillary Clinton, come testimoniano i due milioni e mezzo di voti popolari ottenuti in più rispetto a Trump. Il sistema dell’Electoral College ci ha però dato un esito diverso. “Il nostro progresso non è stato uniforme… per ogni due passi avanti si ha l’impressione di farne uno indietro”, ha concluso Obama nel suo discorso. Facilissimo immaginare che cosa rappresentino i due passi avanti e quello indietro quando si considerano i risultati elettorali delle tre ultime elezioni presidenziali.
*Domenico Maceri, docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

Commenta per primo

Lascia un commento