OSSERVATORIO AMERICANO/ Da Trump la sconfitta dell’establishment?

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* –

Jeb Bush è stato il candidato dell’establishment repubblicano per le prime tre primarie. Dopo la terza primaria in South Carolina e più di 130 milioni di dollari spesi ha gettato la spugna chiedendo scusa a tutti per il mancato successo. Nel Partito Democratico invece la candidata dell’establishment Hillary Clinton ha quasi in tasca la nomination.
Correre contro l’establishment non ha funzionato per Bernie Sanders ma a Donald Trump e a Ted Cruz ha portato dei successi, anche se il magnate di New York con ogni probabilità la spunterà e affronterà l’ex first lady all’elezione generale.
L’establishment, come si sa, include le istituzioni che esercitano il potere economico e politico del Paese. Includono le grosse corporation, i miliardari di Wall Street, i leader politici dei partiti e persino i media.
Nel caso dei democratici l’establishment ha supportato Hillary Clinton, come ha detto Sanders in uno dei loro dibattiti. Ce lo conferma anche il supporto dei superdelegati, i pezzi grossi del partito come governatori, sindaci di grosse città, leader del partito ed altri illuminati che in grandissima misura hanno promesso il loro supporto all’ex first lady. Un sondaggio della Associated Press dell’anno scorso ci informa che 359 di loro sosteneva la Clinton e 8 il senatore Sanders. Quaranta dei senatori democratici hanno già annunciato il loro endorsement per l’ex first lady.
Questo supporto di super delegati spesso si traduce in endorsement, che non sempre procurano grandi vantaggi ma di certo confermano che il beneficiario fa parte dell’establishment. Inoltre, i fondi ricevuti dall’ex first lady provengono in modo considerevole da grossi contributori ed anche da Wall Street. Lei però si difende dicendo che non ha mai cambiato un singolo voto per favorire i suoi donatori.
Se Sanders si è presentato come l’anti-establishment nel campo democratico, parecchi candidati nel Partito Repubblicano si sono attribuiti questa etichetta. A cominciare da Ted Cruz il quale ha tentato di presentarsi come l’anti-Washington  essendosi fatto nemico non solo dei democratici al livello federale ma anche del suo partito. Ce lo dimostrano le sue prese di posizione estremiste, che lo hanno indotto a dare del bugiardo a Mitch McConnell, membro del suo partito ma anche presidente del Senato.
Marco Rubio, approdato al Senato dalla Florida come beniamino del Tea Party, ha poi sterzato al centro abbracciando l’establishment. Ha fatto parte della cosiddetta “gang of eight”, il gruppo di otto senatori che aveva disegnato una riforma sull’immigrazione approvata dal Senato poi però bloccata dalla Camera. Questa sua mossa a governare gli ha causato non pochi problemi da parte di Cruz e Trump i quali lo hanno accusato di favorire “l’amnistia” per i clandestini a causa  del suo lavoro sull’immigrazione. Questa sua mossa però gli ha conquistato le simpatie dell’establishment soprattutto dopo che Jeb Bush ha lasciato la corsa.
Trump, il primo della classe, è divenuto il grande nemico dell’establishment repubblicano. La leadership del Gop non sa cosa fare per togliergli la nomination vedendolo come falso repubblicano e impossibile da controllare. Ironia della sorte, però, Trump, nonostante la sua reputazione anti-establishment, in realtà ne fa parte per i soldi che dice di possedere e anche per essere riuscito a beneficiare della pubblicità mediatica gratuita. In effetti, Trump ha usato il suo nome e i suoi legami con l’establishment per sedurre i mass media, i quali hanno ripetuto fino alla nausea i suoi slogan conquistandogli la nomination.
Trump ha persino ammesso due mesi fa in un’intervista concessa a Mike Wallace di Fox News che fino a poco tempo fa lui era membro dell’establishment dato che doveva fare parte di coloro che firmano gli assegni per finanziare la campagna politica. La sua discesa in campo però gli ha lavato la “macchia” di establishment perché usa i propri soldi. Trump però ha avuto successo usando la stessa tematica dell’establishment repubblicano della paura, la xenofobia, l’invidia e l’odio per conquistare la nomination. L’unica cosa diversa è stata spingere questi temi all’estremo alienando i gruppi minoritari che l’establishment vede indispensabili per conquistare la Casa Bianca.
Mancano otto mesi all’elezione generale ma dopo gli esiti del Super Tuesday tutto lascia prevedere un duello fra l’ex first lady e Trump, cioè un candidato dell’establishment classico democratico e un individuo cha ha fratturato l’establishment repubblicano. Le aspettative ci dicono che i repubblicani perderanno, ma al momento c’è poco di sicuro.

*Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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