Si è da poco concluso l’appuntamento annuale che la Fondazione Musica per Roma dedica alla danza contemporanea. Quest’anno la kermesse Equilibrio Festival, intitolata Aurora Boreale a Roma, è stata dedicata ai paesi nordici (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) e ha chiuso un progetto triennale dopo Francia e Germania.
Il coreografo e danzatore nato a Utrecht e cresciuto in Svezia Jefta Van Dinther ha chiuso il festival con Protagonist, la sua seconda grande produzione per la storica compagnia svedese Cullbergbaletten. Quattordici danzatori in scena, un palco suddiviso da due lunghe strisce di luce a terra e un’impalcatura di tubi da cantiere a fare da sfondo.
Lo spettacolo comincia con una voce fuori campo che immerge i performer in un’atmosfera tra sogno e riflessione filosofica. La coreografia sposta l’attenzione tra decine di quadri fluidissimi che si scompongono uno nell’altro, e l’occhio si perde e riprende in una rappresentazione di un mondo che sembra popolato da bande suburbane, feste disperate, lotte e corse che stordiscono per la loro dinamicità. I movimenti sono ripetuti, l’ossessione è palpabile, le azioni sono spezzate e decine di tableau vivant instabili come dei mandala si alternano voracemente, lasciando allo spettatore il compito di ricostruire la completezza del racconto, sempre accennato, ma preciso come se tutto fosse sotto l’attenta lente di un antropologo.
I corpi si attaccano, si scontrano, si separano fino a quando, da quell’infinita conflittualità, sorge un coro comune che intona un’unica parola: “revolution”. Pochi istanti di unità ed ecco che tutto cambia. Le luci si scaldano e gli abiti che hanno segnato le palpabili differenze tra i performer piano piano lasciano spazio ai corpi nudi. Le percussioni riempiono il vuoto e in scena ritornano i danzatori trasformati nei fisici, tanto da assumere movimenti primitivi: salti, tuffi, passi sgraziati, braccia che si allungano ad arpionare la struttura metallica come se dei grossi primati avessero colonizzato un nuovo tempo dell’umanità.
È questa la riflessione di Van Dinther, che ci pone di fronte alla violenza contemporanea auspicando una nuova rinascita. Questa volta, però, l’alba dei tempi non ha bisogno di nessun monolito che sorge nel deserto come proposto da Stanley Kubrick in 2001 odissea nello spazio. Ma solo di una presa di coscienza collettiva, che abbandona la competizione individualista per riproporre un futuro tutto da costruire.
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