L’attacco terroristico a Parigi. COMMENTI. La ferocia in nome di Allah contro due luoghi di svago

 

Raffaele Ciccarellidi Raffaele Ciccarelli

È trascorso meno di un anno, e il terrore bussa di nuovo alla porta della Ville Lumiere. Stavamo seguendo le evoluzioni dei calciatori impegnati con le nazionali, quando il tam tam mediatico ha iniziato a diffondere il suo lugubre messaggio: Parigi sotto attacco! Immediato il pensiero è corso all’11 settembre del 2001, impressa ci è rimasta nella memoria quell’altra tragica scritta che accompagnava i servizi sull’argomento: U. S. under attack! Simili le pianificate strategie, identico l’obiettivo: instillare terrore. Ancora una volta teatro è Parigi, a meno di un anno dalla strage di Charlie Hebdo, anche qui grande pianificazione, obiettivo forse diverso, volendo colpire specificamente quei giornalisti e quel giornale che si erano, nel loro pensiero, spinti troppo oltre con l’ironia.

Nel caso dei simultanei attentati, sei o forse sette, di Parigi, si può scorgere un altro obiettivo, ancor più agghiacciante perché colpisce principalmente coloro che seguono lo sport, quanti pensano di passare qualche ora di svago a teatro. Cioè, il momento esatto in cui un essere umano è inerme, tranquillo, concentrato su altri avvenimenti, il momento esatto in cui si può amplificare la paura, trasformandola in terrore puro soprattutto in chiave futura. Non è un caso che scenari siano soprattutto il teatro “Bataclan” e lo zona di Saint Denis, dove sorge lo “Stade de France”: sono i posti dove si assembrano le persone, dove al teatro c’erano alcune centinaia di persone per assistere allo spettacolo, molte migliaia allo stadio per l’amichevole di lusso tra Francia e Germania. Forse si scoprirà che è stato solo un fortuito caso se tra quelle migliaia di tifosi festanti non sia successo sostanzialmente nulla, altrettanta fortuna non hanno avuto gli spettatori del teatro: in un atroce scenario da Grand Guignol, i terroristi hanno massacrato uno a uno decine di inermi, e innocenti, spettatori.

Facile l’accostamento iniziale all’attacco alle Twin Towers, o anche alla metropolitana di Londra, a me pare che stiano alzando il tiro, che la loro voglia di sangue stia aumentando sempre più: un teatro è un luogo chiuso, sostanzialmente anche uno stadio con le tante migliaia di persone, a noi torna in mente anche la scuola di Beslan in Ossezia, oppure l’attentato alla maratona di Boston del 2013. Matrici diverse, forse, ma pietre miliari del terrore, e luoghi dai tanti assembramenti di persone, luoghi in cui si può pensare di agire in nome di un Allah che sicuramente mai approverebbe tutto questo, perché tutto questo non può essere un messaggio religioso, ma solo della follia dell’uomo che si nasconde dietro essi.

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UNA PROVA DEL FALLIMENTO

DELLE POLITICHE DI POTENZA

di Domenico Gallo e Alfiero Grandi –

I tragici fatti di Parigi, difficili persino da immaginare prima che accadessero, sono una dimostrazione eclatante della crisi dell’ordine pubblico internazionale e del fallimento delle politiche di potenza con cui, al termine della guerra fredda, le principali potenze occidentali hanno ritenuto di regolare le relazioni internazionali con la pretesa di sostituire la forza al diritto.

Dopo l’89 è stato sprecato il patrimonio di saggezza elaborato dalle nazioni che avevano sconfitto il nazismo e che puntava a creare un nuovo ordine internazionale in cui la pace era assicurata dal diritto.

L’umanità, nel corso della prima metà del secolo scorso, ha sperimentato con le due guerre mondiali, con Auschwitz, con Hiroshima, una vera e propria discesa agli inferi. Nel 1945 i leaders delle principali potenze alleate, per necessità storica, hanno deciso di chiudere la porta dell’inferno, sbarrandola con pesanti lastre di acciaio. Quelle lastre si chiamano ripudio della guerra, astensione dalla minaccia o dall’uso della forza nelle relazioni internazionali, eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, risoluzione pacifica delle controversie, cooperazione internazionale per lo sviluppo, rispetto del diritto internazionale, repressione di ogni violazione della pace, ricorrendo, come estrema ratio all’uso della forza attraverso una forza armata dell’ONU.

Il diritto internazionale, con le garanzie previste dalla Carta dell’ONU, costituiva il principale e più efficiente sistema di sicurezza collettivo. Il diritto internazionale dei diritti umani, fondato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e le Costituzioni democratiche del dopoguerra operavano per il rafforzamento ed il rilancio del diritto internazionale e, quindi, della sicurezza collettiva.

La Costituzione italiana, traendo insegnamento dai tragici fatti della storia, coerentemente con lo Statuto della Nazioni Unite, aveva ripudiato lo strumento della guerra ed impegnato l’Italia ad operare nelle relazioni internazionali per costruire la pace attraverso la giustizia nel contesto del diritto internazionale.

A partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, il diritto internazionale è stato brutalmente calpestato ed è stato abrogato il sistema di sicurezza collettivo bastato sul diritto e sul ruolo di mediazione e di garanzia dell’ONU. Le nazioni che avevano in mano le chiavi della forza le hanno utilizzate per imporre i propri interessi nazionali al di fuori di ogni contesto di giustizia. In questo modo è stata avviato un percorso verso il caos, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo con la nascita ed il radicamento dell’Isis.

Gli eventi di questi giorni sono una tragica conferma che non vi può essere sicurezza collettiva senza diritto.

Occorre ripristinare i principi di pace e giustizia e le garanzie del diritto internazionale attraverso l’intervento dell’ONU, occorre ricostruire l’unità fra le nazioni che sconfissero il nazismo per ripristinare i principi ed i valori del diritto internazionale, a cominciare dall’inviolabilità delle frontiere e dal dovere di reprimere il genocidio, nel rispetto del diritto internazionale e con le sanzioni previste dal diritto internazionale.

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