LA PULCE NELL’ORECCHIO/ Una commedia piena di storie: Carmelo Rifici rilegge Georges Feydeau

di FEDERICO BETTA*/ La Pulce nell’Orecchio è uno dei capolavori del teatro di Georges Feydeau, un vaudeville che trasforma la vita quotidiana in un caos grottesco e irresistibilmente comico. La regia di Carmelo Rifici, vista in scena al Teatro Vascello di Roma, risveglia, con un’interpretazione moderna e visionaria, la vitalità e l’ironia del classico francese. La riscrittura, fatta con Tindaro Granata, mantiene la macchina comica dell’originale, che si dipana come un intarsio raffinatissimo simile a un teorema matematico, e scatena la cascata di equivoci ambientando la scena su un palco trasformato in kindergarten per adulti.

Se una delle caratteristiche principali del teatro di Feydeau è il suo approccio al linguaggio, in questa rilettura il lavoro sulla parola diventa volano per un continuo gioco sull’ambiguità. Centrale, in questo lavorio sulla parola, è il personaggio di Camillo, interpretato con giocosa levità dallo stesso Tindaro Granata. A causa di un vizio congenito, per cui non riesce a pronunciare le consonanti, oltre a strappare continue viscerali risate al pubblico, diventa una sorta di secondo regista dentro lo spettacolo. Abbattendo la quarta parete e variando sapientemente il tono del racconto, Camillo permette alla storia di svolgersi in un continuo andirivieni emozionale, che trasporta il flusso narrativo tra vette di comicità e delicatissima malinconia esistenziale.

Così come il testo elimina ogni esplicito riferimento all’epoca in cui Feydeau scrisse la commedia, anche la scenografia, progettata da Guido Buganga, immerge la scena in uno spazio astratto e flessibile. Gli attori giocano tra parallelepipedi di gommapiuma che, nonostante sembrino leggeri, richiedono precisione e sforzo collettivo, aggiungendo una dimensione fisica alla performance e consentendo di trasformare continuamente gli spazi. Il palco rotante, coperto dalle giganti forme gommose, permette inoltre di spostare la narrazione tra due ambienti ben distinti. Da una parte c’è la casa di Raimonda e Vittorio Emanuele, interno borghese dove si scatena il meccanismo narrativo del sospetto tradimento, dall’altra un sordido hotel per incontri a ore, dove tutti i personaggi si reincontrano trasformati, spogliati o rivestiti con abiti diversi, incastrati in differenti ruoli sociali e legati da nuove relazioni.

A rendere esplosiva tutta l’ambiguità del testo è la presenza di un personaggio doppio, interpretato con convincente trasformismo da Christian la Rosa: ipotetico marito fedifrago nella casa borghese e strambo servitore nell’hotel equivoco. Il continuo rimpallo dei due con la moglie Raimonda (Marta Malvestiti), il fidato amico Tornello (Marco Mavaracchio) o il proprietario dell’hotel (Ugo Fiore), enfatizza fino all’esasperazione il problema dell’identità e da vita a una serie di gag esilaranti che trovano compimento solo nel travolgente finale.

Nella regia e riscrittura di Rifici e Granata, questa commedia leggera, che intrattiene e diverte ogni tipo di pubblico, presenta una serie di piani di lettura stratificata e profondamente legata al nostro incerto presente. Sotto le risate, sobbollono in controluce acute riflessioni sul potere del linguaggio, l’incomunicabilità, l’ipocrisia borghese e la follia umana, temi universali che si dipanano sottilmente in questo piccolo grande gioiello. Un lavoro che nella sua complessità è un vero piacere per gli occhi e per il cuore, realizzato anche grazie a un gruppo affiatatissimo di attori e attrici (oltre ai già citati, sono in scena anche Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo, Alberto Pirazzini, Giusto Cucchiarini), che generosamente sanno trasformarsi in acrobati, cantanti, musicisti e performer comici.

In questo mondo artificiale, simile allo spazio fantasmatico dei cartoni animati dove nessuno può davvero morire, la multipolarità dei piani è forse riassunta in un breve scambio tra il padrone dell’hotel Carcassa e il suo servitore Buco. Quando finalmente si ritrovano e si riconoscono, il padrone allo stesso tempo abbraccia e picchia il povero servo, dimostrando plasticamente, ancora una volta, la complessità al tempo comica e tragica delle nostre vite.

*Critico teatrale

 

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