IN SCENA/ Eduardo da studiare con Massimiliano Civica

 

di FEDERICO BETTA

Controlla la porta d’entrata, guarda gli spettatori, “Vado?”, chiede, e poi comincia il viaggio: una conferenza spettacolo che è un fiume in piena, un percorso frammentato e appassionato nella vita e nell’arte di Eduardo De Filippo.

Massimiliano Civica è un regista, non un attore (premio Ubu alla regia nel 2008 per Il mercante di Venezia di Shakespeare e nel 2015 per l’Alcesti di Erupide), ma in realtà lo spettacolo che mette in scena è una bella prova di recitazione, con degli ottimi tempi comici e tutta l’esperienza di chi quel testo lo conosce da anni, di chi ci ha lavorato tanto e lo ha fatto suo.

“Quanti sono i non addetti al Teatro presenti in sala?”, scoppia una risata, si alzano pochissime mani. Si comincia con una provocazione divertente che smaschera subito l’autoreferenzialità del teatro contemporaneo, in contrasto con il desiderio del regista che ha scritto questo lavoro per rivolgersi a un pubblico non di settore.

L’ispirazione per il titolo della lezione, Parole imbrogliate, viene proprio da De Filippo che voleva lasciare dietro di sé solo il suo teatro, facendo perdere le tracce della propria biografia per lasciar palpitare la vita solo nei suoi testi e sul palco.

Per tutta la conferenza, in modo ironico e con esempi concreti e precisi, il regista smaschera una tipica propensione esterofila dello spettatore e critico italiano, capovolgendo i nostri punti di riferimento: De Filippo, Randone, Duse, Scarpetta, le grandi attrici e i grandi attori del teatro italiano sono anticipatori rispetto ai più famosi teorici stranieri.

Massimiliano Civica mescola sapientemente materiali eterogenei, con la preparazione di un accademico e un atteggiamento accattivante da amico al bar, cita scherzando Mastroianni e Scamarcio, il teatro e il cinema, e colpisce con riflessioni sorprendenti: “Napoli milionaria debutta sei mesi prima di Roma città aperta, e quindi possiamo dire che il neorealismo l’ha inventato il teatro”.

Tra una risata e un commovente scambio di lettere tra i fratelli De Filippo, il testo è come un coltellino svizzero che attraverso la storia di Eduardo aiuta gli spettatori a guardare il teatro in un modo diverso: si parla di finanziamenti e sale indipendenti (la preferenza tra quelle romane va senza dubbio a Carrozzerie Not dove si è svolto lo spettacolo), si ragiona sul pubblico e la comicità, vengono messe in discussione le inutili divisioni tra teatro di ricerca e teatro di tradizione. “Sono solo etichette ministeriali, inutili ghetti” dice Civica e l’esempio più lampante lo sfodera chiedendo al pubblico se De Filippo facesse tradizione o innovazione. Alla domanda, che rimane per un po’ in sospeso, lascia rispondere un grande maestro come Leo De Berardinis: “C’è una sola tradizione, ed è la tradizione del nuovo”.

Immersi in un’ora abbondante di parole, tra i sottili riferimenti teorici che Civica mescola a ricordi personali e a una quantità sterminata di aneddoti mai superficiali, viene in mente un altro maestro di nascondimenti e citazioni celate, Michel Foucault, che amava dire: “Non sono dove mi cercate, ma qui da dove vi guardo ridendo”.

 

Commenta per primo

Lascia un commento