Duro attacco di D’Alema e Quagliariello alla riforma costituzionale. Onida: perché ho fatto il ricorso contro il quesito del referendum

Massimo D'Alema durante il convegno per No al referendum al residence Ripetta, organizzato dalle fondazioni Magna Charta e Italianieuropei, Roma, 12 ottobre 2016. ANSA/ ANGELO CARCONI
Foto Ansa di Angiolo Carconi

Le ragioni per bocciare la riforma costituzionale, votando No al referendum, hanno trovato una nuova tribuna in un convegno nazionale organizzato dalla fondazione “Italianieuropei” di Massimo D’Alema e dall’associazione “Magna Charta” di Gaetano Quagliariello. La vittoria del No, è stato detto, potrà consentire di “aprire subito dopo una nuova stagione di riforme” con l’approvazione del taglio del numero dei deputati e dei senatori, lasciando però l’attuale bicameralismo, preferibile al “bicameralismo imperfetto” concepito nella riforma Boschi.

D'Alema_QuagliarielloSecondo Quagliariello “è stata tradita l’idea iniziale di questa legislatura, quella di fissare regole comuni e dividersi sui principi e sulle soluzioni dei problemi del Paese. Oggi il Paese è diviso sulle regole e i principi e le soluzioni sono stati cacciati dalla porta”. “Se la riforma sarà bocciata – ha detto Quagliariello – ciò non significa che si interrompe il processo riformatore”. Anzi, nei mesi restanti potrà essere approvata una riforma che taglia il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200.

D’Alema ha ribadito le critiche alla riforma, che è “sbagliata, non utile, non risolve i problemi ma li aggrava”. “L’auspicabile vittoria del No non porterebbe alla catastrofe – ha proseguito – e inoltre obbligherebbe alla revisione della legge elettorale; la vittoria del No sarebbe una garanzia assai maggiore rispetto agli impegni presi da Renzi a modificare l’Italicum dopo il referendum”. Anche per D’Alema “la vittoria del No non fermerebbe il processo costituente” come dimostra il fatto che dal ’48 ad oggi la Carta è stata riformata ben 35 volte. “La cosa più negativa – ha detto l’ex premier – sono stati quei tentativi nei quali si è pensato di imporre delle riforme in una logica di maggioranza” perchè “così si apre la strada, quando ci saranno altre maggioranze, allo stravolgimento della Costituzione”. Insomma, solo “la vittoria del No aprirebbe una fase con vero spirito costituente”. D’Alema ha concluso rivolgendo un appello a tutti i parlamentari a firmare la proposta di legge di Quagliariello per il taglio dei deputati, a partire da quelli del Pd, che “non potrebbe sottrarsi”.

D’Alema ha spiegato che “non esiste uno schieramento politico del No  mentre esiste un blocco politico governativo del Si, sostenuto dai poteri forti. Uno schieramento minaccioso, da cui capita di subire insulti”.

Al convegno erano presenti personalità ed esponenti di un ampio arco politico, dal professor Stefano Rodotà (che è stato anche candidato del M5s alla carica di presidente della Repubblica) al senatore Romani (capogruppo di Forza Italia a palazzo Madama), all’on. Brunetta (capogruppo FI a Montecitorio), a Gianfranco Fini (fondatore di Alleanza Nazionale), a parlamentari del Pd. C’era anche il professor Valerio Onida, esponente del Comitato per il No, presidente emerito della Corte Costituzionale e presentatore  nei giorni scorsi del ricorso contro il quesito referendario. Onida, intervistato a Radio Cusano Campus, ha spiegato che  “il quesito referendario è troppo eterogeneo e pretende di avere una risposta univoca, un sì o un no, su un complesso di cambiamenti della Costituzione, fra di loro non connessi. E ha ricordato che la Corte Costituzionale nel lontano 1978, in una sentenza celebre in materia di referendum, disse che tra i requisiti indispensabili per un referendum c’è quello della omogeneità del quesito. Non si può pretendere di chiedere una risposta unica su un complesso eterogeneo di oggetti. In quel caso si trattava di referendum abrogativo e la sentenza della Consulta disse che il quesito doveva essere dichiarato inammissibile oppure bisognava procedere alla sua scissione in più domande. Costringere l’elettore a dare una risposta unica su un complesso di argomenti eterogenei, contenuto in 46 articoli della Costituzione, compromette la libertà di voto dell’elettore, che si fonda sulla chiarezza e precisione del quesito. In questo modo si trasforma il referendum in un plebiscito su un programma politico dei gruppi che hanno voluto una certa impostazione”. “Il Parlamento prosegue Onida –  quando affronta il tema della revisione costituzionale, non può pretendere di confezionare un nuovo vestito intero, una nuova costituzione intera e poi sottoporla ad una ratifica popolare. Il referendum di ratifica popolare delle Costituzioni è un’altra cosa. Qui siamo di fronte ad un procedimento per la revisione della Costituzione attuale e la revisione deve avvenire in modo puntuale”. “Il quesito – fa notare Onida – dovrebbe indicare gli articoli della Costituzione che vengono modificati. Invece ci si è riferiti al titolo della legge, che è studiato ad hoc, ma non riflette esattamente il contenuto della legge, perchè ci sono tanti argomenti che nella legge vengono affrontati e che non trovano riscontro nel titolo”.

“Questo titolo -ha spiegato ancora Onida- è frutto dell’influenza nefasta di una cultura costituzionale che da decenni va predicando la necessità di una nuova Costituzione, cioè l’idea che la revisione costituzionale non sia lo strumento per apportare modifiche puntuali al testo della Costituzione in vigore, ma che sia invece la via per innovare. Questa cultura purtroppo si è diffusa nel nostro Paese. Una volta individuati i problemi che si volevano affrontare e le soluzioni che volevano apportare, che cosa gli impediva di fare singole leggi costituzionali? Se avessero proceduto in questo modo probabilmente alcune di queste leggi sarebbero passate con larghissimo consenso e non ci sarebbe stato bisogno di sottoporle al referendum. Si è invece proceduto su questa strada della grande riforma”.

“Questo rapporto è sbagliato in partenza perché le costituzioni sono destinate a durare -ha sottolineato Onida-. La Costituzione degli Usa ha 200 anni, ma nessuno si sogna di dire che va cambiata perchè è vecchia. A differenza delle leggi ordinarie, che devono aggiornarsi a seconda dei cambiamenti che avvengono nella società, le costituzioni rappresentano i principi costanti, stabili della convivenza e più durano e più si radicano nella cultura del Paese. L’idea che la Costituzione debba essere cambiata perchè sono cambiati i tempi è sbagliata in sè. C’è poi la teoria del decisionismo rapido. Non si capisce perchè si debba dipendere dai mercati finanziari in modo così assoluto.

“Ecco perché – dice Onida – non è vero che le nostre leggi avvengono con un procedimento troppo lento e c’è un Paese bloccato sul piano della produzione legislativa. E’ il contrario, abbiamo troppe leggi. Il nostro difetto è la instabilità dell’assetto normativo”.

 

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