ADDIO A JAIR/ E’ morto il brasiliano che vinse tutto con la Grande Inter di Helenio Herrera. Aveva 84 anni. Il ricordo dello storico dello sport

di RAFFAELE CICCARELLI*/ Una grande squadra per passare alla Storia, per restare indelebilmente nell’immaginario collettivo, oltre che di grandi imprese ha bisogno di grandi interpreti, che ne sappiano segnare il percorso. Il Brasile di Pelè, la Germania di Franz Beckenbauer, l’Olanda di Rinus Michels e Johan Cruijff, il Milan degli Invincibili di Arrigo Sacchi, la Grande Inter di Helenio Herrera. Di quest’ultima faceva parte anche Jair da Costa, brasiliano che in Italia, e soprattutto con la maglia nerazzurra dell’Inter, si consacrò come giocatore di valore assoluto. Cresciuto nel Portuguesa, si mise subito in mostra tanto da meritare la convocazione per il mondiale cileno del 1962, il secondo vinto dai verde oro in cui, pur non scendendo mai in campo chiuso nel ruolo dall’estro di Garrincha, poté fregiarsi del titolo di campione del mondo.

I trionfi in maglia neroazzurra. Se quello, però, resta un alloro effimero e magari poco sentito, le sue qualità messe in mostra nel club brasiliano attirarono le attenzioni anche delle squadre europee, scatenando subito un derby intorno al suo nome tra Inter e Milan, con i primi che se ne aggiudicarono le prestazioni. In nerazzurro Jair fece le sue fortune e quelle del suo club, in una congiuntura felice che avrebbe portato quella squadra a diventare un simbolo di quegli anni con le sue vittorie, in Italia e all’estero: tra i confini del Bel Paese si sarebbe aggiudicato quattro scudetti, in Europa due Coppe dei Campioni, nel mondo due intercontinentali.

Le caratteristiche tecniche di Jair. Ala destra velocissima, tanto da essere soprannominato Freccia Nera, Jair era non solo abile nello sfruttare la sua velocità per fornire assist a ripetizioni ai suoi compagni di squadra, Sandro Mazzola, Luis Suarez, Aurelio Milani, Joaquin Peirò, Riberto Boninsegna, ma bravo egli stesso negli inserimenti e nelle conclusioni a rete che gli valsero un bottino finale di settanta reti in nerazzurro. Già il suo debutto sulla scena internazionale nasceva sotto ottimi auspici, avendo segnato il primo gol per l’Inter in Coppa Campioni, contro l’Everton nel 1963, nell’edizione del 1965 contribuì in prima persona a far sì che il suo capitano, Armando Picchi, potesse sollevare la Coppa dalle Grandi Orecchie sotto la pioggia di San Siro, quando fu sufficiente un suo gol per superare in finale il Benfica e aggiudicarsi il trofeo per la seconda volta consecutiva.

Quelle vittorie consentirono di partecipare, e vincere, alla coppa Intercontinentale, trionfando entrambe le volte sugli argentini dell’Independiente. Al termine di quel ciclo di vittorie, Jair andò in prestito una sola stagione alla Roma, ma fece subito ritorno alla casa madre nerazzurra, in tempo per vincere un altro titolo, lo scudetto della stagione 1970/1971, contribuendo con sei gol al successo della squadra allenata prima da Heriberto Herrera e poi da Gianni Invernizzi. Fu il canto del cigno, gli ultimi anni spesi tra Santos, con Pelé, e il Canada, di un giocatore, un’ala velocissima e dal dribbling ubriacante, che ha segnato un pezzo di storia del calcio italiano.

*Storico dello sport

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