A BORDO CAMPO/ L’impennata dell’etica pelosa

Raffaele Ciccarellidi RAFFAELE CICCARELLI*

Sempre più spesso le cronache sportive sono soppiantate, sui giornali specializzati e non, da quelle giudiziarie che sostituiscono quelle agonistiche. È ormai diventata quasi una consuetudine, infatti, imbattersi in articoli che parlano di corruzione, di partite comprate e vendute, di doping, di razzismo. Tutto un becerume di cui il mondo dello sport farebbe volentieri a meno, che tra l’altro vede questo stesso mondo al centro delle attenzioni per una non ben chiara funzione moralistica che dovrebbe avere. Ma è dallo sport che deve venire questa moralizzazione? Indubbiamente esso dovrebbe contribuire, ma mi sembra pretenzioso e pretestuoso che proprio da qui dovrebbe avere inizio la moralizzazione della società. In realtà credo che dovrebbe essere l’esatto contrario, e cioè che la società dovrebbe fornire quegli atleti e quei dirigenti pronti ad entrare nel nostro mondo per il solo scopo di fare sport in maniera pulita, anche perché lo sport sembra diventato il ricettacolo di tutti i mali. Ma non è colpa dello sport se abbiamo una classe politica inqualificabile e che punta solo agli interessi personali e non della collettività; non è colpa dello sport se la nostra società è fondata sulla raccomandazione e sulla corruzione piuttosto che sulla meritocrazia e la competenza; non è colpa dello sport se ormai anche qui si cercano scorciatoie illegali per il facile successo.

Quello che avviene nel mondo dello sport è solo lo specchio di quanto accade nella società e non il contrario, come da più parti si vuole far comodamente credere. Si accusa lo sport di sessismo e di omofobia, di scarsa attenzione alle donne, ma è la società che non riesce a sciogliersi da un retaggio atavico e a dare la giusta importanza all’altra metà del cielo. Si accusa lo sport di corruzione, ma è la nostra società che ha vissuto, e vive, una prima e una seconda repubblica che continua ad essere fondata sulle “mazzette”, calciopoli e il sudiciume successivo e attuale sono solo una conseguenza. Si accusa lo sport di razzismo, ma è nella nostra società che abbiamo episodi di intolleranza verso gli altri, dove non viene accettato il diverso, indipendentemente se questa diversità sia di razza, colore della pelle, religione o geografica.

A tutto questo possiamo, poi, aggiungere quella che possiamo definire “etica pelosa”, che ha avuto un’impennata negli ultimi anni, con la diffusione dei social network, dove tutto viene esposto al pubblico e dove tutti si sentono autorizzati a parlare. È quell’etica di parte, dove chiunque scrive vuole fare il moralista, ma con parzialità, creando difese pretestuose e attacchi artificiosi in nome dell’etica, come abbiamo potuto leggere nel famigerato caso Sarri – Mancini: dalla parte napoletana si difendeva il tecnico di casa, dalla sponda opposta si lanciavano strali e accuse. La realtà è, però, una sola, come l’etica: non può esistere dubbio o distinzione di maglia sulla morale, per cui è semplicemente sbagliato quanto detto da Sarri, come è sempre sbagliato quando si proferiscono offese verso altre persone, adrenalina o meno. Non servono altre accezioni, è semplice maleducazione, di cui è pieno lo sport che muta, sbagliando, la società, e non il contrario.

* Raffaele Ciccarelli giornalista e storico del calcio

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