L’europeismo riluttante di Giorgia Meloni e il rifiuto dei fondi del MES

di SERGIO SIMEONE* –Recentemente Giorgia Meloni ha dichiarato che lei è pronta a firmare con il sangue la decisione di non ricorrere ai fondi del MES né oggi né mai. In questo modo fa finta di credere che agli  altri stati europei interessi qualcosa sapere se l’Italia farà ricorso o meno al fondo salvastati in caso di difficoltà finanziarie. Ma non è così, come si dice a Roma, non glie ne può fregare di meno. L’Europa vuol sapere se l’Italia, avendo deciso di non ricorrere al MES (cosa del tutto legittima) pretende di impedire, non ratificando la riforma, anche agli altri Stati, che volessero usufruirne, di accedervi a condizioni più favorevoli rispetto al passato.

Io credo che la Meloni finirà per cedere, e la vicenda del MES andrà a costituire uno degli episodi che caratterizzano la sua adesione alla UE come europeismo riluttante: ogni volta che si presenta un’occasione in cui deve dimostrare se è ancora gravata o meno dal suo passato sovranista ed euroscettico tenta di fare resistenza alle richieste europee (anche per paura di dare spazio al suo alleato-concorrente Salvini), ma finisce poi per cedere quando la resistenza risulta irragionevole ed insostenibile.

Questa riluttanza l’abbiamo già vista in occasione del tentativo di limitare l’uso del POS, che è dovuto rientrare dopo l’altolà della Commissione europea . Ed è tuttora in atto sulla questione migranti: il ministro Piantedosi (che segue la linea Salvini, ma pensa di essere più furbo del suo predecessore) sta tentando di rispettare formalmente le leggi internazionali e e gli accordi europei aggirandoli con degli escamotage: ha prima messo in opera i cosiddetti sbarchi selettivi, e, dopo il loro fallimento (grazie alla mancata complicità del personale medico inviato a bordo delle navi, che dichiarava in cattivo stato di salute tutti i naufraghi e li faceva sbarcare tutti ) ha inventato le nuove regole per le navi delle Ong: ogni nave deve, dopo aver effettuato un salvataggio, subito dirigersi verso il porto assegnato, anche se a poche miglia si è verificato un altro naufragio, e può vedersi assegnato un porto che dista anche  diversi giorni di navigazione. Si cerca cioè di sfiancarle economicamente e fisicamente e di tenerle quanto più tempo possibile lontane dal canale di Sicilia, ottenendo  lo stesso risultato che Salvini perseguiva con la chiusura dei porti. Ma certamente ne scaturirà un conflitto tra Ong e Stato italiano. E l’Europa sarà costretta ad intervenire.

In questi giorni si profila infine un altro contenzioso, quello dell’autonomia differenziata. Questa è affidata alle cure di Calderoli, noto specialista in porcate, che questa volta cercherà di produrne una ai danni del Mezzogiorno, mettendo in atto quella che alcuni commentatori hanno definito la secessione dei ricchi. Ma questa “porcata” confligge con la politica europea, che mediante il PNRR si è posto l’obiettivo di correggere gli squilibri territoriali nel continente, ed in modo particolare quello tra nord e sud d’Italia.

Tutti questi momenti di attrito quasi certamente non si tradurranno in una rottura tra l’Europa e l’Italia perché la Meloni è dotata di sufficiente realismo per fermarsi e fare marcia indietro prima che essa avvenga, ma creeranno l’immagine di una Italia che deve essere tenuta costantemente sotto osservazione, ammonita e costretta a seguire la giusta rotta dai partner europei. Perderà quindi  quel ruolo di Paese trainante dell’Unione, in sintonia con Francia e Germania, che aveva assunto con il governo Draghi. E questo declassamento non sarà certo un buon risultato per chi, dopo aver vinto le elezioni aveva annunciato che avrebbe anteposto a tutto gli interessi dell’Italia.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil

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