OSSERVATORIO AMERICANO/ Il dilemma dei candidati del Gop di fronte alla nomination di Trump

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI*– “Non sono ancora pronto a sostenere Donald Trump”. Ecco come ha reagito Paul Ryan, speaker della Camera, poco dopo la vittoria di Trump alle primarie in Indiana. Invece Reince Priebusleader del Partito Repubblicano, aveva già annunciato in un tweet che il magnate di New York era il presuntivo candidato del Gop e che bisognava unire il partito. Le reazioni divergenti di questi due leader del Partito Repubblicano alla conquista della nomination  riflettono l’ansia  del Gop per l’elezione di novembre non solo al livello presidenziale ma anche per quanto riguarda i possibili effetti sul controllo del Senato e della Camera.
Fra quelli che hanno già dichiarato il loro sostegno a Trump spicca Chris Christie, governatore del New Jersey, che aveva già annunciato il suo endorsement al magnate  nel mese di febbraio. A Christie si erano aggiunti altri luminari del Gop, come il senatore Jeff Sessions dell’Alabama e parecchi governatori come Paul LePage del Maine,  Rick Scott  della Florida, Mike Pence dell’Indiana  e Mary Fallin dell’Oklahoma. Mitch McConnell, presidente del Senato, ha anche lui dichiarato di sostenere il candidato repubblicano.
Rick Perry, ex governatore del Texas, e Bobby Jindal, ex governatore della Louisiana, hanno dichiarato il loro appoggio. Questi due, anche loro candidati alle primarie, avevano espresso giudizi poco benevoli su Trump. Perry, infatti, aveva apostrofato la candidatura di Trump come “un cancro del Partito Repubblicano”. Adesso però Perry non rifiuterebbe di fare parte di questo cancro come vicepresidente.
Altri non si sono detti dello stesso parere, salvo affermare che sosterranno chiunque sia il vincitore repubblicano  della nomination. Altri ancora sono stati evasivi, ma anche parecchie voci si sono già alzate decisamente contro il magnate di New York creando il gruppo Never Trump (Mai Trump): tra questi Charlie Baker, governatore del Massachusetts, il senatore Jeff Flake dell’Arizona, il senatore  Dean Heller del Nevada,  e il senatore Lindsey Graham della South Carolina.
Tutti contrari a Trump gli ex presidenti George Bush padre e figlio come pure Jeb Bush, sconfitto alle primarie quest’anno. I Bush non saranno nemmeno presenti alla convention del Partito Repubblicano come avevano fatto in precedenza. Mitt Romney, portabandiera del Partito Repubblicano nel 2012 e sconfitto da Obama, ha anche lui detto che non offrirà il suo endorsement.
Ryan ha incontrato Trump per fare la pace e ricucire i rapporti, ma non ha ancora offerto il suo endorsement. Forse più in là; ma sarà difficile se si ricordano le parole di disappunto dello speaker all’indomani dell’annuncio di Trump che voleva proibire l’ingresso ai musulmani negli Stati Uniti.

Lo stile, fra Ryan e Trump, non potrebbe essere più diverso. Il primo è un politico serio, anche se di idee abbastanza conservatrici e persino estremiste. Trump invece, oltre ai suoi attacchi farneticanti, sembra oscillare da un tema all’altro. Recentemente ha fatto marcia indietro sull’aumento del salario minimo e sull’aumento delle tasse agli ultra-ricchi.
Lo stile di Trump e i suoi assalti ai messicani, alle donne, ai musulmani, come pure la sua ignoranza in politica estera disturbano Ryan. Lo speaker intravede anche un forte impatto negativo su tutti i candidati della Camera  e del Senato considerando le idee xenofobe del magnate di New York.

I candidati repubblicani alle elezioni di novembre dovranno scegliere se abbracciare  Trump con tutti i suoi bagagli negativi o allontanarsi dal numero uno del loro partito con un programma che diverge dalla piattaforma che il Gop formulerà alla convention.
Questo dilemma, riconosciuto da Ryan, lo ha chiarito anche John McCain. Secondo  l’agenzia di giornalismo Politico, il senatore dell’Arizona ha dichiarato a un gruppo di sostenitori che considerando l’alta percentuale di elettori latinos e le frasi offensive di Trump sui messicani lui “dovrà sudare sette camicie” per ottenere la rielezione. Ryan riconosce  che a novembre essere legati a Trump sarebbe tossico e i repubblicani potrebbero facilmente perdere non solo l’opportunità di riconquistare la Casa Bianca ma il loro controllo del Senato, e persino quello della Camera è in pericolo.

In un’intervista alla Cnn Ryan ha manifestato alcuni dei dubbi su Trump e sulla sua campagna elettorale. Lo speaker ha ammesso che il suo partito non può nominare sempre un Lincoln o un Reagan a leader del Gop, ma ha sostenuto che il loro portabandiera deve “promuovere i principi del Partito Repubblicano”  e rivolgersi “alla vasta maggioranza degli americani”. Trump però si aggrappa a tutto ciò che gli consente di ingrandire il marchio che porta il suo nome. E ha impresso sul Partito Repubblicano questo marchio, che luccicherà fino alla sua eventuale sconfitta a novembre.

*Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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