CIAO GIGI/ Il calcio italiano piange la morte di Radice: calciatore, ottimo tecnico e grande uomo. L’artefice dell’ultimo scudetto del Toro, nel ricordo dello storico dello sport

di RAFFAELE CICCARELLI*/ Vivere l’ultima parte della propria vita senza ricordare è forse la condizione peggiore per chi, invece, la vita stessa l’ha attraversata da protagonista, nel nostro caso nel calcio, prima sui prati verdi, poi sopra una panchina. Ma se uno non riesce a ricordare di suo, molti invece ricordano le sue imprese, ed è quanto è accaduto nell’ultima parte di soggiorno terreno a Gigi Radice. Sicuramente è stato un protagonista in panchina negli anni a cavallo tra la fine dei Sessanta e i Settanta, iniziando il mestiere giovanissimo. Ha solo trentuno anni, infatti, quando inizia ad allenare, e a vincere, a Monza in Serie C, ma non effimera fu la sua breve carriera da calciatore. Tranne due parentesi a Trieste e Padova, è con la maglia a strisce rosse e nere del Milan che dipana il suo percorso sul campo di onesto terzino sinistro di sostanza, contribuendo alla vittorie di tre scudetti ed anche della Coppa dei Campioni, neanche questa banale perché si trattava di quella della edizione 1962/1963, la prima del Milan e di un’italiana, superando a Wembley il Benfica di Eusebio.

Da calciatore ad allenatore. Un incidente di gioco pose fine alla sua carriera di calciatore trasformandolo da subito in un vincente della panchina, dove il suo capolavoro, quello che ha scolpito nella Storia il nome di questo “allenatore dagli occhi di ghiaccio”, è stato quello realizzato sulla panca del Torino. I granata, protagonisti alla fine degli Anni Quaranta con il Grande Torino, avevano visto spento il loro dominio, e trasformato quella squadra in leggenda, con la sciagura di Superga del 1949, e da allora non erano riusciti ad essere più protagonisti vincenti. Fino all’avvento di questo tecnico lombardo, che dominò il campionato 1975/1976, guidando gente come “Giaguaro” Luciano Castellini, il “poeta del gol” Claudio Sala, l’asciutto Renato Zaccarelli, il geometrico Eraldo Pecci, soprattutto i “gemelli del gol” Francesco Ciccio Graziani e Paolino Pulici. Parli del Torino e non puoi non parlare della Juventus, cui i granata in un lungo derby, fieramente si opponevano, incarnando uno spirito falsamente proletario ma autenticamente viscerale, come da storica “Passione Toro”, esaltando il duello tra Radice e Giovanni Trapattoni, suo omologo bianconero che si prese la rivincita la stagione successiva, quella storica dei cinquantuno punti bianconeri contro i cinquanta granata. Da lì la carriera di Radice si mantenne ad alti livelli per molti altri anni su svariate panchine in giro per l’Italia, sempre allenando con il suo stile asciutto e pragmatico, a tratti anche spietato nel suo cinismo, da vero “allenatore dagli occhi di ghiaccio”.

*Storico dello sport

Commenta per primo

Lascia un commento