di NUCCIO FAVA – Nel paesino della Tuscia – tra Orvieto e Civita di Bagnoregio – dove mi trovo per la raccolta delle olive, si discute al bar molto della elezione di Trump. Gli entusiasti sono in maggioranza, i critici di meno: temono l’isolamento dell’Europa già scassata di suo e incapace di darsi una politica unitaria. Vedono Trump come un Berlusconi americano che faceva belle promesse che poi non manteneva. Vengo interpellato per la mia lunga esperienza professionale e la consuetudine romana. Esprimo comprensione ed interesse per le ragioni degli uni e degli altri che riassumono abbastanza le valutazioni prevalenti. In ogni caso colpisce la novità di Trump, la grande sorpresa per un candidato che appariva fuori dai grandi giochi della politica di Washington. Principale elemento invece che lo ha portato alla vittoria: votato soprattutto dagli elettori qualunque, dai tanti che si sentivano ignorati e abbandonati alla solitudine e ai loro guai di reddito e di marginalità sociale.
Ora Trump è atteso ai fatti e alle scelte per il medio e lungo periodo. Sorprende e preoccupa una certa trascuratezza verso l’Europa accompagnata da critiche alla Nato e ai suoi costi. Mentre non lesina apprezzamenti per Putin e la ricerca di migliori rapporti con la Cina. Subito chiare e inaccettabili le ribadite intenzioni di espellere 3 milioni di clandestini e di costruire il muro contro il Messico. E’ certo un modo di corrispondere a certi settori del suo elettorato. La cosiddetta pancia dell’America che tanto ha pesato nella sua elezione.
L’Europa è tremebonda e confusa: dopo il giudizio volgare e irrispettoso di Juncker, manda un piccolo segnale iniziale con la riunione congiunta di tutti i ministri della Difesa e degli Esteri, barlume di una difesa comune europea. Purtroppo la crisi resta profonda, né appare un contributo costruttivo il veto sul bilancio minacciato dall’Italia dopo l’eliminazione della bandiera europea dalla scenografia di palazzo Chigi. E’ il referendum in realtà ad assorbire tutte le energie del capo del governo e ogni mossa è fatta in funzione di un consenso al sì. La Lega con Salvini sembra quasi volersi intestare la vittoria di Trump (e anche la Brexit) e rivendica la candidatura a premier, col risultato che il centro destra resta rissoso e diviso. Grillo non cambia e spopola con la battuta sulla vittoria di Trump, definita “un vaffa mondiale”.
Renzi appare sempre più nervoso. Gira l’Italia come un tarantolato, sbuca in tv in continuazione, scrive lettere in tutto il mondo, e ne annuncia di nuove alle famiglie italiane sempre per chiedere un sì: in caso contrario – va dicendo – tornerebbe la palude, tornerebbe in auge la casta, per almeno 20 anni l’Italia sarebbe preda di governicchi. Difficile comprendere l’utilità per l’Italia di una tale impostazione, di una tale drammatizzazione. Su Trump tutte le previsioni ed i sondaggi lo davano perdente e proprio suggestionato dall’effetto Trump il nostro presidente- segretario ha deciso di rivolgersi anche agli elettori di 5 stelle e di Forza Italia, invitandoli a non contraddire le proprie ragioni originarie non mantenute dai capi. Una sorta di sfondamento trasversale che rischia però di apparire un gesto disperato.
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