di DOMENICO MACERI* – “L’America di John McCain non ha bisogno di essere rifatta grande perché lo è sempre stata”. Queste le parole di Meghan McCain, figlia di John McCain, alla cerimonia dell’elogio funebre del senatore americano tenutosi alla National Cathedral di Washington. Solo poche ore dopo è arrivato il tweet di Donald Trump, che a lettere maiuscole ripeteva “MAKE AMERICA GREAT AGAIN”. Due frasi diverse che rappresentano due Americhe, quella di McCain e quella del 45esimo presidente.
L’America di John McCain era presente nella cattedrale di Washington e abbracciava tutto l’establishment politico americano, inclusi gli ex presidenti George W. Bush e Barack Obama.
McCain, sapendo di essere ormai in fin di vita, alcuni mesi fa aveva chiesto ad ambedue di pronunciare elogi funebri al suo funerale. La scelta non è stata casuale rivelandoci la forza e il coraggio di McCain. Sia Bush che Obama lo avevano sconfitto in dure campagne politiche. Il primo per la nomination nel 2000 e il secondo nella corsa alla presidenza nel 2008. I rapporti bipartisan però per McCain erano più importanti dei risultati delle elezioni. Come ha detto Obama nel suo elogio, al di là delle differenze politiche, ambedue erano americani e parte della stessa “squadra”. Sia Obama che Bush hanno lodato McCain per il suo eroismo in Vietnam, dove soffrì la prigionia nel cosiddetto Hanoi Hilton. Una volta che i Vietcong si resero conto che era figlio di un ammiraglio americano gli offrirono la libertà mettendolo davanti alla fila dei prigionieri da liberare. McCain si rifiutò, decidendo di aspettare il suo turno. Decisione che gli costò ulteriori torture.
La scelta dei due ex presidenti e degli elogi funebri è stata strategica e mirava a mandare un messaggio all’attuale residente della Casa Bianca, un uomo i cui comportamenti McCain disdegnava. In uno dei suoi ultimi dissensi, McCain aveva aspramente criticato il comportamento di Trump all’incontro con Vladimir Putin ad Helsinki. Si ricorda che il presidente americano non riconobbe il lavoro dell’intelligence americana, che aveva ribadito il sospetto di interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016. Trump dichiarò nella conferenza stampa che Putin gli aveva fornito elementi convincenti a sostegno della innocenza russa.
McCain aveva capito che la nazione viene prima del partito e che bisogna sacrificarlo per il bene comune. Trump, invece, vede il suo bene personale come guida. Ce lo conferma anche il suo attacco più feroce a McCain durante la campagna elettorale quando mise in dubbio l’eroismo di McCain. Trump disse che a lui piacciono “quelli che non si fanno catturare” e che McCain non era un eroe. Una bestemmia, ovviamente, poiché tutti gli americani riconoscono i sacrifici e i contributi personali di McCain al paese. Nel caso di Trump, non corse il pericolo di essere catturato perché non servì nelle forze armate americane. Non andò in Vietnam perché ottenne quattro rinvii e alla fine fu esentato per una lieve deformazione ai talloni.
L’incapacità di Trump di guardare in faccia alla realtà e il suo ricorso agli attacchi personali come arma politica colorano la sua America. Come ha detto Obama nel suo elogio a McCain, “la politica attuale americana finge di essere coraggiosa ma in realtà nasce dalla paura”. La frase non menziona Trump direttamente, ma la stoccata è chiara e diretta all’attuale inquilino della Casa Bianca. Nella campagna politica per la presidenza e in quasi due anni di mandato Trump le spara grosse dicendo di esser coraggioso e grande difensore del paese con la sua politica di “America first”, prima gli americani.
I fatti importano poco nell’America di Trump. I fatti si possono ricreare per confermare il successo personale. E quando la logica presenta un panorama negativo gli attacchi si riversano sui messaggeri. I media che riportano la realtà sono attaccati come diffusori di “fake news” e, in tempi recentissimi, come nemici del popolo. Un’espressione che ci fa subito pensare a leader autoritari per i quali Trump ha espresso ammirazione dimenticando che i loro valori si collocano diametralmente all’opposto di quelli americani incarnati da McCain.
La miopia di Trump pervade la sua politica, che, a differenza di McCain, è guidata dalla sopravvivenza personale anche a costo di sbarazzarsi di principi etici e morali. Dalle bugie quasi quotidiane – che il Washington Post ha calcolato in oltre 4 mila in meno di due anni di mandato – a pagamenti di pornostar per silenziarle, prima smentiti ma poi confermati dai suoi collaboratori, alcuni dei quali stanno per andare in galera.
Meghan McCain, nel suo elogio ha detto che la scomparsa del padre significa “la morte della grandezza americana, di quella vera… non quella di individui che hanno vissuto una vita di comfort e privilegi mentre lui soffriva e serviva”. Non menziona Trump, ma l’allusione è chiarissima.
Nel suo messaggio di addio McCain ha reiterato la “fede negli americani” esortandoci a non “disperare per i problemi attuali ma a credere sempre nella promessa e grandezza dell’America”. Un messaggio positivo che, mentre l’America perdeva un pezzo importante della sua storia, ci ricorda che il Paese è molto più grande e non dipende da un singolo individuo. McCain sapeva benissimo che, nonostante la sua grandezza, l’America non ha ancora raggiunto il punto più alto; ma la fede negli ideali un giorno ve la condurranno .
*Domenico Maceri è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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