Mattarella ha promulgato la legge di conversione del decreto-legge del 29 dicembre 2022 n. 198, il cosiddetto “milleproroghe”, ma ha accompagnato la firma con una lettera di riserve riguardanti la norma concernente la proroga delle concessioni per gli stabilimenti balneari. Il presidente della Repubblica ha indirizzato la lettera al presidente del Senato, Ignazio La Russa, al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, e al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. In essa esprime tutte le sue perplessità, ponendo riserve sul merito e sul metodo del decreto. Il capo dello Stato ha deciso di promulgare il provvedimento formalmente, ma per quanto riguarda soprattutto le concessioni per gli stabilimento balneari sottolinea la necessità ineludibile di “ulteriori iniziative del governo e del Parlamento” per correggere le norme che in ogni caso si presterebbero a contenziosi (con probabili impugnazioni) con l’Unione Europea, il Consiglio di Stato e gli Enti locali.
“Questa materia – spiega Mattarella – è da tempo all’attenzione della Corte di giustizia europea, che ha ritenuto incompatibile con il diritto europeo la proroga delle concessioni demaniali marittime disposta per legge, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. Le predette disposizioni del decreto-legge e della legge di conversione, oltre a contrastare con le ricordate definitive sentenze del Consiglio di Stato, sono difformi dal diritto dell’Unione europea, anche in considerazione degli impegni in termini di apertura al mercato assunti dall’Italia nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza“.
Sul problema, dell’abuso della decretazione d’urgenza e delle norme disomogenee, da sempre presente nei provvedimenti cosiddetti “Milleproroghe”, Mattarella auspica una inversione di tendenza, come aveva assicurato la Meloni senza, però, comportarsi conseguentemente.
Mattarella si richiama alle sentenze della Corte Costituzionale rilevando che, trattandosi di provvedimenti che riguardano ambiti diversi ed eterogenei, “quando si smarrisce la ratio unificatrice, rappresentata dall’esigenza regolatoria di carattere temporale, si trasformano in decreti legge omnibus del tutto disomogenei, vale a dire in meri contenitori dei più disparati interventi normativi“.
“Anche oggi – scrive il capo dello Stato – ho il dovere di porre in evidenza come varie nuove disposizioni introdotte in sede parlamentare non corrispondano ai principi e alle norme costituzionali in materia“. E aggiunge con severità: “Mi limito a osservare come sia ormai evidente il carattere frammentario, confuso e precario della normativa prodotta attraverso gli emendamenti ai decreti-legge e come questa produca difficoltà interpretative e applicative“.
La Meloni reagisce tentando, come si suol dire, di mettere una pezza, facendo buon viso a cattivo gioco. E dichiara: “Ho apprezzato l’iniziativa che il Presidente del Consiglio dei ministri ha di recente assunto, in dialogo con i Presidenti delle Camere, sottolineando l’abuso della decretazione d’urgenza e la circostanza che i decreti-legge siano da tempo divenuti lo strumento di gran lunga prevalente attraverso il quale i Governi esercitano l’iniziativa legislativa. Come ha osservato il Presidente del Consiglio, un’inversione di tendenza potrà aversi con il recupero di un’adeguata capacità di programmazione legislativa da parte del Governo e di una corrispondente attitudine del Parlamento a consentire l’approvazione in tempi ragionevoli dei disegni di legge ordinaria”.
Insomma la presidente del Consiglio scarica la trasgressione istituzionale sui parlamentari del suo stesso partito e di quelli della coalizione che sorreggono il suo governo. E non è la prima volta si aggrappa a questo sotterfugio.
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