di STEFANO CLERICI – Pur essendomi ormai da tempo rifugiato nella riserva indiana di LeU, dove ancora c’è chi prova a coltivare i valori e le tradizioni di quel glorioso partito che fu di Antonio Gramsci e di Enrico Berlinguer, continuo a seguire con tenera nostalgia le vicende del Pd, preoccupato e fortemente irritato per le continue, devastanti scorribande che l’Attila fiorentino compie in quel territorio che una volta conquistò e di cui oggi vorrebbe fare terra bruciata (oppure riconquistarlo di nuovo, chissà).
Non contento di aver “sterminato” il popolo della sinistra, eliminando sei milioni di elettori, e di aver poi decapitato quasi nella culla il governo di Enrico Letta, non contento di aver lasciato Roma alle truppe pentastellate per cacciare il “non allineato” sindaco Ignazio Marino e di aver infine “impallinato” Giuseppe Conte per riportare nella stanza dei bottoni tanto Matteo Salvini quanto Silvio Berlusconi, prima faticosamente allontanati, ebbene ora ha scagliato la sua furia distruttrice contro il buon Nicola Zingaretti, impegnato nel tentativo di ricostruire una alleanza progressista sulle macerie che l’Attila fiorentino aveva lasciato.
Una vendetta che Matteo Renzi doveva aver studiato da tempo. Quando, dopo essersi fatto eleggere nelle liste del Pd, decise di fare la scissione e di dar vita a “Italia Viva”, portandosi via – per assottigliare diabolicamente la presenza numerica dei dem in Parlamento – una fetta dei suoi fedelissimi. Ma non tutti, però. Astutamente, si è preoccupato di lasciare nel suo ex partito alcune “serpi in seno” che in seguito avrebbero potuto rivelarsi assai utili. Come, infatti, è accaduto.
Ora, non sappiamo come finirà. La nostra speranza è che il buon Nicola Zingaretti mantenga il punto. Ma, se dovesse essere convinto a furor di popolo a tornare sui suoi passi, lo consigliamo di dettare per la sua permanenza alla guida del Pd condizioni tali da costringere tutti a una irreversibile scelta di campo. Perché è di questo che la sinistra ha bisogno: una irreversibile scelta di campo. Ha bisogno di una forza, vasta e unita, che riporti la vera politica in mezzo alla gente, fuori dai giochi di palazzo e accanto alle disperate richieste di chi soffre, mai come in questo momento. Senza ambiguità, senza improbabili ammucchiate e, soprattutto, senza “serpi in seno”.
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