PRIMO: DIFENDERE LA PACE/ La voce dei Papi (purtroppo spesso inascoltata) contro la guerra: da Pio IX a Francesco 

di GIACOMO CESARIO*

Papa Francesco Tutt’altro che ascoltato è il monito dei Papi per la pace e contro la guerra. Eppure coerente e inequivocabile è stato il loro impegno, alta e profetica la loro intuizione. Dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi, i Pontefici, da Pio IX a Papa Francesco (nella foto a lato con il presidente Mattarella), si sono sempre schierati contro tutte le guerre, orrende e feroci, per la difesa della pace dono inapprezzabile concesso da Dio agli uomini. Colpisce la coerenza dei loro interventi ispirati dalla carità. Ma anche l’amorevole vicinanza al popolo colpito e terrorizzato. Le loro voci, anzi i loro “gridi” da San Pietro costituivano un deciso rifiuto e una netta condanna delle ideologie così come i tentativi replicati per abbreviare i conflitti dimostravano con quanta insistenza e intransigenza essi si adoperassero per raggiungere la pace.

Anni difficili per Pio IX

Fu sotto il pontificato di Pio IX, il più lungo finora registrato d’un vescovo di Roma, 32 anni dal 1846 al 1878, che voltò pagina la storia italiana, contrassegnato dal grande evento dell’unità d’Italia, che parve coincidere con la perdita del potere temporale della chiesa e del papato. Con la storica breccia di Porta Pia (1870), Roma cessò d’essere dominio dei Papi, per divenire capitale dello Stato degli italiani. L’ “Allocuzione” (dal latino alloqui, “parlare a qualcuno”) del 29 aprile 1848 esprime meglio il modo e lo spirito con cui il marchigiano Ferretti, l’ultimo papa-re, agì, tra sorprese e speranze, da ignoti financo sospettato di simpatie reazionarie e conservatrici; il documento stava già a dimostrare come, in quegli anni  durissimi, non fossero eccessivi i timori di un pontefice di per sé mite e bonario, difensore della chiesa bersaglio dei regimi oppressivi, mai efficacemente contrastati anche da parte di chi ne aveva il dovere.

BENEDETTO XV E L’INUTILE STRAGE

Non dimentichiamo Benedetto XV (1914-1922) e il suo piano di pace proposto alle grandi potenze, ma che non ebbe successo. Che l’immagine di un Papa, non più sovrano temporale, potesse dar noia ai cattolici interventisti più accaniti sembrava fin troppo evidente.

Fragile e schivo, Giacomo della Chiesa, ligure, s’impone nel momento più tragico degli inizi del secolo, per la sua statura spirituale. Investito dal conflitto mondiale, il 1° agosto 1917 esorta a terminare “l’inutile strage” con un messaggio appassionato e angosciato, dando ai riti il puro necessario e così evitare dinanzi al lutto della guerra quanto sapesse di festeggiamento. Uno storico sottolinea come egli, ispirato dall’alto, esenta da posizioni politiche: “a far fronte alla violenza del conflitto non c’è da trovare che la pace”. Ma non è stato ascoltato da nessuno neanche nelle proposte di evitare bombardamenti di città almeno nei giorni festivi e di consentire soccorsi di ogni genere e per ogni evenienza. Mette la pace in cima ai suoi pensieri, in un mondo dilaniato, dovunque insanguinato.

PIO XI, UN NOME DI PACE

Di qui il senso di allarme da cui fu turbato l’intrepido Pio XI (1922-1939), regnante nel periodo della nascita e della crescita di allucinanti ideologie, avverse al cattolicesimo, ma disposto a trovare col fascismo un ragionevole accordo tramite la sottoscrizione dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, del nazismo invece esprimerà la netta condanna nell’enciclica “Mit Brennender Sorge” indirizzata ai vescovi tedeschi, che, nonostante le cautele e le sfumature linguistiche, rappresentava una fiera condanna di quella ideologia. Dichiarando poi la radicale incompatibilità di quelle teorie con la dottrina cristiana. Anche per il geniale Achille Ratti la pace è il primo traguardo che si pone. Come lui stesso ricorda, il nome scelto è “un nome di pace”, asserendo nell’enciclica Ubi arcano Dei che “il Papa, chiunque egli sia avrà sempre pensieri di pace e non di afflizione, di pace vera e perciò spesso non disgiunta dalla giustizia”.

PACELLI FRA LE MACERIE

Lascia al suo successore Pio XII, ovvero Eugenio Pacelli(1939-1958) l’ardua impresa di governare la chiesa in un clima di grande attesa e turbamento non soltanto per la ripresa della persecuzione da parte del fascismo contro le organizzazioni cattoliche, ma perché sente avvicinarsi la minaccia di una seconda guerra mondiale. A Roma, il nobile Pacelli trema per quello che può accadere in seguito. E percorre le più complicate e impensate vie per recare soccorsi senza posa, aiuto e sollievo agli inermi, ai bambini, alle popolazioni, a tutti i profughi e alle vittime dei bombardamenti.

È più ricordato con la bianca veste insanguinata, fra le macerie di San Lorenzo al Verano, dove si ebbe il maggior numero di vittime, almeno tremila stando agli archivi. Fu nel 1939 che dalla bocca di un Papa, dall’anima tormentata, uscirono parole profetiche: “Niente è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra”, già a dimostrare con quale pertinacia e solerzia si adoperò per scongiurarla. Vani i tentativi per abbreviare il devastante conflitto che egli avrebbe voluto impedire, con sollecitazioni e spinte personali “perché fosse risparmiata all’Italia, una guerra lunga e difficile”.

LA “PACEM IN TERRIS” DI GIOVANNI XXIII

Col Concilio Vaticano II, apertosi l’11 ottobre 1962, il papato ha interpellato la chiesa prima che il mondo perché, fedele al mandato di Cristo, torni “pellegrina sulla terra”, in cammino, e non sul trono. E per bocca di Giovanni XXIII, un papa che regnò poco (1958-1963), conferma la necessità che tutti i cristiani e “gli uomini di buona volontà” s’incontrino e lavorino per diventare costruttori di pace come Cristo ci chiede di essere. Con la “Pacem in terris” del 1963, di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario di pubblicazione, Papa Roncalli, riesce a vedere più in là del suo vicino orizzonte; è sempre ascoltato dovunque e da tutti, anche da chi non crede, atei compresi. I suoi interlocutori sono, oltre i poveri e i semplici, Kruscov e Kennedy, anch’essi uniti e impegnati per la pacificazione mondiale, contro la fame e la guerra. In molti casi le sue parole, molto dirette, provocarono le coscienze, come quando per la “crisi di Cuba”, profilandosi la minaccia di una guerra nucleare, contribuirono a scongiurarla. Fu allora che il “Papa buono” pensò a un testo sulla pace.

In lui affascinava la grande tolleranza, il fatto che non vide mai nessuno come nemico. L’annuncio, nella basilica di San Paolo, di un Concilio ecumenico coglie tutti alla sprovvista. Papa Roncalli, che affidò alla Vergine i lavori del Concilio, ha intuito che la missione della chiesa si realizza purché essa non si estranei dal mondo.

PAOLO VI ALL’ONU

A fare della pace “valore senza confini” il suo obiettivo è Paolo VI, uno dei pontefici più colti e profetici del Novecento. Raccoglie e prosegue l’eredità del Concilio che egli riesce, tra consensi e dissensi, a portare sino in fondo. Papa Montini (1963-1978) non ha dubbi sul programma di governo ecclesiale: mettere la pace al primo posto. Intuisce, nel solco aperto da Roncalli, che è per le vie del mondo che il Papa deve andare con nel cuore una missione da compiere di carità e di pace. Nel 1964 va in Terra Santa, a Gerusalemme, dove abbraccia il patriarca Atenagora I; nello stesso anno si reca in India, culla di religioni non cristiane, né si può dimenticare, nell’ottobre 1965, la sua visita alle Nazioni Unite durante la quale tiene un coraggioso discorso contro gli armamenti, per la giustizia e la pace, ammonendo solennemente: “Jamais la guerre, jamais la guerre”.

Egli pensa di istituire, nel 1967, una “Giornata per la pace”, da celebrarsi ogni 1° gennaio. Ha una visione chiara del problema sociale e nella grande enciclica “Populorum progressio”, emanata nel 1967, riconosce che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.

PAPA LUCIANI E LA PACE FATTO EDUCATIVO

Gli succede, nel 1978, Albino Luciani, che assume il nome di Giovanni Paolo I. Non gli è difficile assimilare e insegnare le novità conciliari, cercando di mantenere un linguaggio semplice, un filo diretto con i giovani ai quali ha dedicato molto tempo della sua esistenza. Quanto serve “educare alla pace”, come talvolta ripete, sapendo che il problema è politico, ma è insieme problema di cultura, di formazione delle coscienze, di educazione. È di per sé un invito, il suo, a diventare consapevoli che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici, o di traffici economici.

Molto dipende dalla volontà di avviare, nel perseguirla, un percorso educativo dentro e fuori le aule scolastiche, a livello di ogni cittadino, nelle varie strutture a disposizione come parrocchie, centri giovanili, oratori, in cui poter dare un’impronta diversa. Perché è lì, in questi luoghi, che bambini, ragazzi e adolescenti si giocano il proprio futuro.

Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo, ha trovato in Luciani, papa per pochissimi giorni, un pronto sostenitore della pace. Già ne trattava durante le sue lezioni, altamente educative, a Belluno, pubblicate poi col titolo “Catechesi in briciole”, cercate, seguite, apprezzate.

Richiami alla pace li troviamo pure in testi e documenti, interventi, scritti autografi in buona parte inediti, messi ora tutti insieme nel bel volume “Il Magistero” (Lev- San Paolo), a cura della istituita fondazione vaticana che porta il suo nome, destinataria dell’ampia raccolta sulla quale penso valga la pena di soffermarsi. L’intero popolo di Dio non si è mai rassegnato alla morte così precoce del Papa del sorriso.

WOJTYLA IN ASSISI PER LA PACE

Ecco la novità. Il 16 ottobre 1978 arrivò al soglio pontificio il polacco Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, col nome di Giovanni Paolo II.

Il suo contributo alla pace è notevole. A lui si devono alcuni successi come il crollo del muro di Berlino nel 1989 e da cui venne la crisi dell’impero sovietico, eventi epocali che fortunatamente non videro spargimento di sangue. Wojtyla aveva idee precise su come promuovere e difendere la pace, pagando anche di persona se necessario. Allo stadio di Sarajevo, capitale martoriata dalla Bosnia, ha gridato “pace” e poi ancora: “Offri il perdono e ottieni la pace!”. In altre parole, può esserci una pace soltanto con il perdono. A collegare tra loro i due termini sta il richiamo: “la riconciliazione, la giustizia e la pace tra gli individui e le nazioni non sono soltanto un nobile appello destinato a pochi idealisti, ma una condizione per la sopravvivenza della vita stessa, al di sopra delle ideologie e dei sistemi”. Un grido storico, quello di Giovanni Paolo II, riferito ad una perdita di fede, senz’altro legittimo quando l’umanità è in fuga da Dio. E così, proprio alla vigilia dell’Anno internazionale della pace, indetto dalle Nazioni Unite, intende realizzare in Assisi, città del Poverello, un incontro ecumenico sulla pace. Lì chiama a raccolta i rappresentanti di tutte le religioni a pregare assieme per la pace. Era il 27 ottobre 1986: un giorno di preghiera universale, ma anche un giorno di responsabilità, l’anno in cui Wojtyla, coerente con la linea di Paolo VI, affermava che sviluppo e solidarietà sono le “chiavi della pace”, che vuol dire riconoscere, della pace, tutto lo spessore etico e umano.

BENEDETTO XVI E LA PACE “DONO DI DIO”

Nel magistero molteplice e sempre più impegnativo di Benedetto XVI, al secolo Joseph (Giuseppe) Ratzinger (1927-2022), che tanta luce di dottrina e di fede irradiò in ogni luogo, non mancano i riferimenti alla pace “dono” del tutto gratuito e come tale irrompe nella nostra vita a dimostrare la generosità di Dio, amore infinito. Nell’introduzione all’enciclica “Caritas in veritate” sullo sviluppo umano integrale, pubblicata nel 2009, scrive: “L’amore -caritas- è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e verità assoluta.”

Ma perché alla terra sia donata la pace occorre il solidale impegno di tutti, aveva detto da cardinale in un’intervista concessa al giornalista tedesco Peter Seewald, che tocca con realismo problemi universali, attese comuni di pace , di solidarietà, di dialogo tra popoli e nazioni. E come non fare riferimento alle sue lezioni così sempre efficaci e piacevoli, famosa quella ai politici tedeschi del 1981, o all’ampio discorso intitolato “Giovani contro la guerra” per il concerto dell’Interregionales Jujensinfonie Orchestra nel 70° anniversario della seconda guerra mondiale l’8 ottobre 2009.

Interpellato su cosa fu davvero quel periodo, rivela che, tra il 1943 e il 1944, ancor giovane seminarista, chiamato alle armi, sperimentò personalmente i bombardamenti di Monaco in Baviera. Le sue opere teologiche e tradotte in tutte le lingue, che mostrano una profonda dedizione allo studio, sono una ricchezza da divulgare. Perché Benedetto XVI, l’operaio instancabile della vigna, fu soprattutto un teologo, uno dei più grandi teologi del ‘900 europeo.

LA VOCE DIVERSA DI PAPA FRANCESCO

Il nesso pace-fratellanza è centrale nella predicazione stimolante e feconda di Papa Francesco, divenuto Pontefice il 13 marzo 2013, col titolo di “successore di Pietro” e “vescovo di Roma”: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, disse Gesù all’apostolo dandogli il mandato.

Anche nel decennale di pontificato, il 13 marzo 2023, all’insegna della sobrietà (niente feste soltanto una messa con i cardinali) il Pontefice, nemico delle apparenze, riporta l’attenzione sull’aggressione russa in Ucraina, che non può lasciare indifferenti, dicendosi pronto a recarsi a Kiev e a Mosca, martorizzate dalle bombe da cui, con ritmo incessante, giungono messaggi raccapriccianti. Il giorno prima, all’Angelus domenicale, dalla finestra dello studio che si affaccia sulla piazza, ha rilanciato l’invito a deporre le armi e a tenere aperti i negoziati, a stare a fianco e in comunione con i fratelli e le sorelle che soffrono a causa di una “guerra mondiale a pezzi”, distruttiva per l’umanità. È lo slogan coniato durante un viaggio di ritorno in aereo da Seoul a Roma.

Pace e pandemia, messe insieme, occupano un posto rilevante nel messaggio per la giornata mondiale della pace 2023 sul tema: “Nessuno può salvarsi da solo”, nel quale dopo aver fatto riferimento alla non ancora superata epidemia, il Papa riflette su quanto gravi ora su noi tutti una ulteriore sciagura di proporzioni immani. “La guerra in Ucraina – cito parole sue- miete vittime innocenti e diffonde incertezza per tutti … rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte …” E se le minacce alla pace hanno radice prima nel cuore malato dell’uomo e tuttavia al cuore di ciascuno è aperta la strada della conversione, ciò che si può fare è di promuovere “azioni di pace” rivolte a far tacere le armi, riproporre a mediazione di tutti e a guida di tutti quanto detto da Gesù ai discepoli nel cenacolo: “Shalom, Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Parole ormai incancellabili, che irrompono nel presente, come nuovo alimento a sperare affinché giustizia, amore e pace tornino a regnare fra gli uomini e non si trasformi il pianeta che ci ospita in un vasto cimitero. Il pensiero di Papa Francesco corre all’attualità, ai conflitti senza tregua, alle tante sfide che bisogna affrontare. Non può mancare il tema dell’ambiente largamente trattato nell’enciclica “Laudato sì” del 2015 dovunque fatta oggetto di menzione, ripreso in “Laudate Deum” sulla crisi, climatica, diffusa il 4 ottobre, festa di S. Francesco d’Assisi. C’è folla ad ascoltarlo quando parla del rapporto tra uomo e ambiente. Preoccupazione per la crisi ecologica, conseguenza dell’attività incontrollata dell’uomo, per le foreste che stanno andando in fumo in diverse aree del pianeta, soprattutto in Amazzonia, cui ha dedicato un sinodo. Non sorprende nel documento l’accenno ai contributi dei Papi del Concilio, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, che “hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni” (L.S., 7). Rilevante l’apporto di Papa Francesco: non c’è tema fondamentale del Vaticano II che non sia stato sfiorato e suggerito dal suo magistero. Come si evince ad esempio in “Fratelli tutti”, enciclica sociale tra le più lette, una concreta proposta di fratellanza e di amicizia, rivolta anche a tutti gli altri cristiani e credenti (si pensi all’incontro con il grande Ahmad Al-Tayyeb ad Abu Dhabi) così come vuole il Concilio definito “una bussola” per la chiesa, anzi per tutta la società. Indubbiamente, il più storico avvenimento del secolo, la grandiosa Assise che ha riunito sotto la cupola di Michelangelo tutto l’episcopato del mondo, come nota Benny Lai in un suo libro. Storici e saggisti, in vari paesi, gli hanno dedicato scritti di particolare interesse. Piace citare, fra essi, il bel volume di Daniel Rops, accademico di Francia, dal titolo “Vatican II – Le Concile de Jean XXIII”.

FARE DELLA PACE UN DONO

Tanti temi percorrono le cronache del peregrinare dell’anziano Pontefice e affollano i suoi discorsi, che arrivano al cuore. Tutti li sovrasta, però, il tema preminente della pace “dono ineguagliabile”, il problema più immediato e proprio per questo si rivolge al mondo in perpetuo conflitto: “Fate della pace un dono”, un appello senz’altro rivolto ai credenti come ai poteri schierati a commerciare armi per una guerra diventata ormai una minaccia globale. Vari studiosi, teologi e scrittori che si sono interessati alle sue opere, ne hanno compreso il messaggio più profondo di pace, insita nei sacrosanti disegni di Dio, presente nella storia. Qualcuno l’ha definito magistero di pace mai come ora oggetto di richiami incessanti, in continuità con i venerati predecessori, sebbene alcuni lontani nel tempo, convinti assertori di pace. Proprio all’udienza settimanale del 12 aprile 2023 forte è tornato l’invito alla concordia, a ripassare la “Pacem in terris”, illuminante enciclica di Giovanni XXIII, perché “ispiri i capi delle nazioni nei progetti e nelle decisioni”.

Ma gli scenari che quotidianamente ci si presentano, non paiono destinati a mutare in tempi brevi. Basterebbe velocizzare le trattative diplomatiche, riaprire i dialoghi, discutere piani di pace per scongiurare il peggio, è ciò che pensa il Papa. Ma prima e più ancora di altri la sua voce si alza potente perché il dono della pace diventi realtà. La riconosce come uno dei doni più belli ricevuti da Dio, vero dono che Egli ha fatto per noi, ne siamo i depositari, afferma deciso. Cerchiamo di farlo nostro, di preservarlo accuratamente, capiremo che Dio stesso è dono. L’assunto è arrivato proprio in occasione del decimo anniversario di pontificato segnato, nel volgere di pochi anni, da momenti belli a partire dall’incontro con i nonni del settembre 2014 e insieme brutti, diversi e legati, più in generale, alle guerre catastrofiche in varie parti del mondo e a quello che, inevitabilmente, ne deriva, con conseguenze irreversibili per le popolazioni colpite, e fra esse donne, bambini, anziani.

*Giacomo Cesario, giornalista vaticanista

 

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