OSSERVATORIO AMERICANO/ Hiroshima e Nagasaki: Obama guarda al futuro

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Settantun anni fa la morte è arrivata dal cielo e il mondo è cambiato”. Con queste parole il presidente Barack Obama ha iniziato il suo discorso durante la sua recente visita a Hiroshima, dove il 6 agosto del 1945 esplose la prima bomba atomica. Obama non ha chiesto “scusa” per il primo e fino ad oggi ultimo uso delle due bombe atomiche che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki. Il presidente americano ha rimarcato la colpa globale dell’umanità per gli orrori della Seconda guerra mondiale. E ha saggiamente preferito concentrarsi sulla speranza che le bombe atomiche e le guerre diventino per sempre cose del passato.
Chiedere scusa per l’uso delle bombe atomiche sarebbe stato difficile. L’opinione pubblica americana vede l’uso delle  due bombe atomiche come male necessario, dato che hanno abbreviato la durata della Seconda guerra mondiale. Si crede che – nonostante la terribile morte di circa 200mila persone, inclusi alcuni soldati americani prigionieri di guerra – un’invasione militare del Giappone avrebbe causato molte più vittime. Le pubbliche scuse del presidente americano avrebbero avuto ripercussioni negative su altri Paesi asiatici, anch’essi vittime dell’imperialismo nipponico.
La presenza di Obama a Hiroshima, dove ha deposto una corona di fiori avanti al cenotafio che ricorda le vittime, simboleggia una ammissione delle responsabilità americane. Ma va oltre, perché allo stesso tempo richiama anche le responsabilità giapponesi e quelle globali, non solo per le vittime di Hiroshima e Nagasaki ma anche per tutti i 60 milioni di vittime nella Seconda guerra mondiale. Obama ha detto pure che la ragione per la guerra va trovata nel desiderio umano di “dominio e di conquista”, un indiretto riferimento alla politica imperialistica del Giappone. L’uso della bomba atomica ha fatto parte della tragedia umana conclusasi con la Seconda guerra mondiale.
Obama alla cerimonia di Hiroshima si è anche incontrato con due dei hibakusha (sopravvissuti all’atomica) Sunao Tsuboi e Shigeaki Mori abbracciandoli  e scambiando alcune parole che secondo loro non hanno richiesto traduzione. Il lungo abbraccio a Mori è stato significativo anche per il fatto che questi per decenni ha cercato di ricostruire le vicende degli americani prigionieri dei giapponesi, vittime anche loro della prima bomba atomica.
Obama è stato il primo presidente in carica a visitare Hiroshima. Richard Nixon aveva anche lui fatto una visita, ma prima di divenire presidente. Jimmy Carter ha compiuto la sua visita dopo avere completato il suo mandato. John Kerry, attuale Segretario di Stato, aveva visitato Hiroshima nel mese di aprile di quest’anno.
Obama ha approfittato nella sua visita per guardare al futuro, parlando anche del progresso compiuto dai rapporti di amicizia fra il Giappone e gli Stati Uniti dopo la guerra e della loro amicizia, come pure della pace creatasi nell’Europa occidentale dopo il grande conflitto. Ciononostante bisogna fare di più, secondo Obama, riducendo e controllando le armi nucleari.
Malgrado le parole di speranza alcune ombre rimangono anche nella politica di Obama sul nucleare. Il presidente ha appoggiato un piano di mille miliardi di dollari per ricostruire l’arsenale nucleare statunitense. Per quanto riguarda la riduzione delle armi nucleari mediante trattati con la Russia  bisogna rilevare che Obama si trova all’ultimo posto fra tutti i presidenti americani.
I giapponesi hanno apprezzato la visita di Obama, come ha confermato il primo ministro Shinzo Abe. Nel suo discorso Abe ha detto che la visita  “servirà da impulso alla progressiva abolizione degli arsenali nucleari aprendo anche un nuovo capitolo per la riconciliazione dei rapporti fra gli Stati Uniti e il Giappone”. Una stoccatina a Donald Trump, il quale ha recentemente dichiarato che il Giappone ed altri Paesi asiatici dovrebbero procurarsi armi nucleari per difendersi.  La strada giusta invece è quella della riduzione delle armi nucleari. In questa luce il trattato con l’Iran sul nucleare segna il giusto cammino, anche se non del tutto sufficiente.

*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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