VERBA VOLANT/PRO E CONTRO/ “No a un accordo con i Cinquestelle”// “Ma il Pd non è più partito di governo?”

L’ipotesi di una trattativa tra Pd e Cinquestelle per sbloccare – nei modi da stabilire – la situazione determinatasi dopo le elezioni del 4 marzo, aderendo alla sollecitazione rivolta dal Presidente della Repubblica a tutte le forze politiche al senso di responsabilità, divide non solo il Pd ma anche pezzi dell’elettorato. Quella ipotesi è stata illustrata e sostenuta dal direttore de “l’Altro quotidiano” (vedi https://www.altroquotidiano.it/ora-di-punta-quel-messaggio-di-mezzora-dagli-operai-fiat-di-pomigliano-al-pd/) , ma ha incontrato, oltre ai consensi, anche disaccordo. Se ne fa interprete uno dei collaboratori del giornale con la lettera alla quale il direttore replica contestualmente.

«Dico no a un accordo

del Pd con i Cinquestelle»

Non sono d’accordo con quanto scritto dal direttore nell’articolo “Quel messaggio di mezz’ora degli operai di Pomigliano”. Non sono d’accordo soprattutto nel chiedere al PD di manifestare subito la sua disponibilità ad un accordo con i 5 stelle. Trovo invece del tutto naturale che un partito sonoramente sconfitto alle elezioni dica ai suoi avversari: voi avete vinto, ora tocca a voi governare. Noi abbiamo perduto ed in democrazia chi perde deve fare l’opposizione. A questo punto tocca a chi ha vinto prendere l’iniziativa e deve farlo cominciando ad abbattere tutta una serie di barriere che lui stesso ha eretto nei confronti degli altri, a cominciare da quelle che fanno parte del galateo, politico e non solo.

Hanno sbagliato i 5 stelle a sbeffeggiare Bersani in streaming nel 2013 costringendo il PD (per quel senso di responsabilità che oggi a gran voce viene invocato) ad allearsi con Berlusconi? Lo dica.

Hanno sbagliato a dire che gli altri partiti sono delle fogne a cielo aperto, ed ammettono che invece in ogni partito (compreso il loro movimento) si possono infiltrare dei disonesti e che questa possibilità è tanto più forte quanto più un partito è vicino al potere? Lo dicano.

Ha sbagliato Di Maio a dire a “Di martedì” che avrebbe iniziato ogni incontro con gli altri partiti premettendo “Noi di voi non ci fidiamo?” Lo dica.

Di Maio vuole fare un accordo con il PD? Lo dica, come fece Bersani nel 2013, quando a chiare lettere disse che mai avrebbe fatto un accordo con il centrodestra e che sceglieva come interlocutore il movimento dei cinque stelle. E fu così coerente che quando vide che ciò non era possibile passò la mano ad altri. E’ stato quell’irridente diniego, non dimentichiamolo, a regalarci 4 anni di renzismo.

Inoltre, Di Maio pensa ancora di impostare gli incontri dicendo, come disse, sempre a “Di martedì” : questi sono i ministri, questo è il programma. Nessuna trattativa, nessun compromesso. Prendere o lasciare? Se ha cambiato idea lo dica.

E poi, passando alle questioni di merito. I 5 stelle son pentiti di essere usciti dall’aula per impedire che il Senato votasse sullo ius soli?

Sono pentiti di non aver partecipato a nessuna delle manifestazioni contro xenofobia e fascismo dopo i fatti di Macerata

Infine, sono disposti a prendere posizioni chiare su alcune questioni fondamentali senza dipendere dai sondaggi? Ne dico una per tutte: vogliono che l’Italia stia nel gruppo trainante per fare diventare l’ Europa uno Stato federale? Non basta cioè dichiarare, manifestando una certa riluttanza (del tipo: se proprio dobbiamo bere questo amaro calice…) di essere per l’Europa e per l’euro. Se si vuole veramente contrastare il potere della grande finanza, che trova facile gioco facendo lo slalom tra stati con sistemi fiscali diversi, lo si può fare solo se si riesce a far diventare l’Unione europea stato federale. Altrimenti si abbaia alla luna( ah queste maledette multinazionali) e poi non si trova di meglio che dare coperture assistenziali ai cosiddetti poteri forti.

Insomma chi vuole governare con il sostegno degli altri deve dichiarare che intende pagare qualche prezzo. Non si può aspettare che chi è stato bastonato vada da Di Maio e gli dica:” A Giggì, che ti serve?”

Sergio Simeone

«Almeno 4 ragioni per ribadire

il mio punto di vista»

Avevo messo nel conto che il mio articolo  potesse suscitare dissenso anche in chi il 4 marzo ha magari votato come me (che, precisiamolo subito, non ho votato per i Cinquestelle). Posso persino comprenderlo, ma non posso condividerlo. Anzi, preferisco articolare le obiezioni schematicamente, punto per punto.

1. Non ho proposto «un accordo» con i 5 stelle, ma una assunzione di responsabilità da parte del Pd nelle consultazioni delle forze politiche che farà il capo dello Stato. E portavo ad esempio, non a caso, l’astensione che adottò in parlamento il Partito comunista di Enrico Berlinguer nel marzo del 1978 facendo nascere il governo Andreotti – un monocolore democristiano – anteponendo la responsabilità verso il paese alle contrapposizioni politiche.

2. Trovo infantilmente arrogante, offensivo per gli elettori, e comunque perdente agli occhi del paese e della comunità internazionale affermare che «chi ha vinto se la sbrighi», ben sapendo che a) il 4 marzo non ci sono stati vincitori assoluti (cioè in grado di formare un governo), b) che l’alternativa sarebbe o il ritorno alle urne (con una legge elettorale vergognosa) o una induzione alla vituperata alleanza «tra populismi».

3. Rievocare (e ricambiare) oggi l’ostile e deplorevole streaming del 2013 tra la delegazione pentastellata e Bersani è fuori luogo di fronte alla evoluzione, e non di poco conto, che hanno avuto e stanno ancora avendo i Cinquestelle di Di Maio. Altrettanto fuori luogo è rievocare gli insulti della campagna elettorale e quelli da talk show, per il semplice motivo che sono stati reciproci ed è difficile stabilire se siano stati più sanguinosi quelli ricevuti o quelli somministrati. Ben poca cosa comunque rispetto alle accuse che intercorrevano tra la Dc e il Pci.

4. Mi sembra piuttosto ardito, comunque, dare a Di Maio la colpa dell’avvento del «renzismo», che ebbe il patrocinio di Napolitano (ora pentito) e il supporto e la connivenza di  stuoli di dirigenti e parlamentari di vario livello del Partito democratico.

Il resto non è materia di polemiche giornalistiche: sono temi importanti di confronto, un confronto approfondito, dopo di che si valuta la serietà degli interlocutori e la base su cui si può stabilire (o non stabilire) un rapporto e, in caso positivo, quale tipo di rapporto, con quali ruoli, tra le due forze politiche.

Ma un partito che si definisce (e lo è stato, sia pur malamente) «di governo» non può sottrarsi a priori al tentativo di dare  un governo all’Italia. Non si tratta di fare un “favore a Giggino Di Maio“, ma di recuperare di fronte all’opinione pubblica, e prima di tutto di fronte al proprio elettorato, il riconoscimento di essere una forza politica responsabile e non un manipolo di mercenari della politica che passano disinvoltamente dalla gigantografia di Bersani a quella di Matteo Renzi e poi a quella di Matteo Orfini. Che potrebbe imboccare la porta di uno studio notarile, come fece con i consiglieri comunali romani del Pd per portarli a firmare la sfiducia al sindaco pd Ignazio Marino: una delle pagine più squallide nella storia della politica italiana.

Ennio Simeone

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