di ENNIO SIMEONE* – Fu nel mese di luglio del 1965 che, in una situazione abbastanza particolare, conobbi Giorgio Napolitano (foto a destra), quando lui, proveniente da Caserta, era appena diventato il segretario della Federazione napoletana del Partito Comunista. Io invece ero a Roma, dove lavoravo da redattore alla redazione centrale de “l’Unità“, organo del Partito Comunista, dove ero approdato dopo aver svolto il ruolo di cronista nell’ufficio di corrispondenza da Avellino e provincia, nel quale ero stato assunto come collaboratore fisso all’età di 18 anni, appena conseguita la licenza liceale, retribuito 500 lire ad articolo.
Una mattina del luglio 1965 sento scandire energicamente, ad alta voce, nel lungo corridoio della redazione al primo piano del modernissimo stabilimento di via dei Taurini, il mio cognome (sia pur declinato impropriamente al plurale): “Simeoni!!“. La voce era quella, perentoria, del nuovo direttore, Mario Alicata, che mi ingiungeva di raggiungerlo immediatamente nel suo ufficio. Ebbi la sensazione di aver combinato qualche pasticcio professionale, di cui venivo chiamato a dar conto e a pagarne le conseguenze. Sensazione che si rivelò invece subito infondata: il direttore non aveva nulla da rimproverarmi; anzi aveva da chiedermi di partire d’urgenza per Napoli per andare a “riparare” un pasticcio che il suo allora “pari grado” politico (pur con ruolo diverso), Giorgio Napolitano, gli aveva combinato in sua assenza per una missione di due settimane a Cuba.
In sostanza, siccome si stava approssimando la data delle elezioni comunali a Napoli, il nuovo segretario della federazione comunista partenopea, cioè Giorgio Napolitano, aveva deciso di puntare, per la candidatura del Pci a sindaco, su Andrea Geremicca, che era il capo della redazione napoletana de “l’Unità“. Geremicca, oltre che un brillante giornalista era anche un efficacissimo oratore e, per di più, era nipote di un popolare ex sindaco di Napoli, di cui gli elettori partenopei certamente avevano ancora un buon ricordo, in grado di influenzarne la scelta nelle urne.
Ma in un partito come era allora il Pci queste valutazioni e le conseguenti scelte andavano decise e condivise collegialmente: inconcepibile, dunque, che Napolitano – benché, in quel momento, pari grado di Alicata nel partito, e destinato ad incarichi istituzionali di maggior rilievo – potesse farla a sua insaputa. Non solo! Napolitano aveva addirittura nominato anche il sostituto di Geremicca come capo della redazione, Aldo Daniele, assumendosi una facoltà che non gli competeva. E infatti spettò a me prenderne il posto. Ma senza traumi, anzi in uno spirito di reciproca e leale collaborazione, perché anche Daniele era una persona molto ligia alle regole del Pci.
Insomma la tegola di quel conflitto rischiava di finire sulla mia testa, per di più in un momento particolarmente delicato: da appena 5 giorni era nato il mio secondo figlio, e mia moglie non era in grado di affrontare un trasloco e un trasferimento da Roma a Napoli. Però dai due illustri contendenti mi fu concessa una proroga di una settimana, più il rimborso della penale dovuta all’agenzia immobiliare per aver disdetto l’affitto a Roma di una casa più grande, e addirittura la facoltà di prendere in affitto a Napoli un appartamento panoramico a Posillipo. Il trasloco avvenne invece, più modestamente, con la 600 Fiat bianca di cui avevo appena finito di pagare le rate.
Ma non mi sono mai pentito di avere accettato quel brusco trasferimento: Giorgio Napolitano mi accolse con la signorilità che lo contraddistingueva e mi aiutò nella nuova impresa professionale stabilendo un filo diretto che diverse volte, con discrezione, mi indurrà ad andare a casa sua al Vomero per una intervista o per uno scambio di valutazioni su delicate situazioni politiche. E Mario Alicata, porgendomi una confezione di sigari cubani, mi incoraggiò inoltre a trasferire la redazione dell’Unità in un appartamento al 7° piano di via Cervantes, di fronte alla nuova sede del Pci, per agevolare i nostri contatti. Insomma – con entrambi – i rapporti sono sempre stati improntati al reciproco rispetto e a spirito di collaborazione.
Poi Napolitano fu promosso ad un ruolo nazionale nel partito e si trasferì a Roma, ma ci saremmo ritrovati alcuni anni più tardi in Toscana, dove mi toccò intervistarlo (nella sua veste di presidente della Camera dei deputati) in due grandi raduni popolari (una volta a Livorno sul lungomare e un’altra volta a Pisa in un teatro) (foto a sinistra)- quando io, assunto dal Gruppo editoriale l‘Espresso, fui nominato direttore del quotidiano “Il Tirreno“.
Poi per Napolitano arrivò la elezione al Quirinale, cui seguì, alla scadenza del settennato, il suo clamoroso bis, contrassegnato dalla sua severa “strigliata” a deputati e senatori per non essere stati capaci di eleggere il suo successore nei tempi e nei modi previsti dalla Costituzione. Una strigliata che rimarrà memorabile nella storia della democrazia italiana.
*Ennio Simeone, direttore de “L’altro quotidiano”
Commenta per primo