Torna in libertà uno dei più feroci killer di “Cosa nostra”: Giovanni Brusca, che premette il telecomando dell’attentato a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo

Giovanni Brusca condotto in carcere dopo la sua cattura, il 21 maggio 1996 (foto Ansa di Franco Lannino)

Un ultimo abbuono di 45 giorni ha aperto al killer mafioso Giovanni Brusca le porte del carcere per fine pena. A 64 anni,  l’uomo che ha premuto il telecomando dell’attentato di Capaci facendo saltare in aria l’auto con a bordo il magistrato anti-mafia Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo e fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo è ora libero, con tutte le cautele previste per un personaggio della sua caratura criminale.

Anche se era un esito annunciato, la scarcerazione suscita comunque le reazioni più critiche. I familiari delle vittime avevano già espresso le loro preoccupazioni quando si è cominciato a porre, già l’anno scorso, il problema di rimandare a casa un boss dalla ferocia così impetuosa da meritare l’appellativo di “scannacristiani”. Nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori “affidabili”. Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la “buona condotta” dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre. È arrivata anche prima.

Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione pure previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell’enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato. Non solo ha ammesso di avere coordinato i preparativi della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. Ha confessato numerosi delitti nella zona di San Giuseppe Jato. Ma ha soprattutto ammesso le sue responsabilità nel rapimento e nella crudele soppressione di Giuseppe Di Matteo il figlio tredicenne del collaboratore Santino Di Matteo.

Santino Di Matteo era, tra tutti, il depositario dei segreti più ingombranti della cosca e aveva cominciato a svelarli al procuratore Giancarlo Caselli e ai magistrati della Dda palermitana. Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita anche lui, qualche mese dopo l’arresto, ha cominciato a rivelare i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993.

Brusca non nascondeva il tormento di ripassare in rassegna i suoi crimini più odiosi e quelli di cui era a conoscenza. Ma mise da parte ogni remora quando ebbe la certezza che ne avrebbe ricavato quei benefici che ora gli hanno ridato la libertà. Dalle sue rivelazioni intanto presero subito l’avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato pure i percorsi dell’inchiesta sulla “trattativa” tra Stato e mafia. (Ansa)

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