di FEDERICO BETTA – Carrozzerie Not, uno degli spazi teatrali più attivi e dinamici della capitale, dal 5 al 7 aprile ha ospitato l’opera dissacrante e poetica di Maicol & Mirco. Una tre giorni intensa che ha visto in scena gli spettacoli Scarabocchi e Il papà di Dio del Teatro Rebis di Macerata, per la regia di Andrea Fazzini, una mostra di tavole allestita nel foyer e una bella chiacchierata cui hanno partecipato il fumettista Maicol (Michael Rocchetti), il regista Andrea Fazzini, lo scrittore e critico Adriano Ercolani e lo studioso di filosofia antica Enrico Piergiacomi.
Un’operazione coraggiosa che ha unito due poetiche che, come affermano gli stessi Fazzini e Maicol, hanno molti punti di connessione: dagli autori di riferimento (ad esempio Samuel Beckett), ai terreni di incontro quali l’esistenzialismo filosofico e una fascinazione nei confronti del vuoto. La scommessa, riuscita, è stata quella di dare carne e tridimensionalità a questi fulminanti scarabocchi che hanno la densità degli haiku e l’ironia di uno sguardo disincantato, che rivelano i tic dei comportamenti umani e il nostro rapporto con l’atto della creazione o con un presunto creatore.
Lo spettacolo Il papà di Dio è un incontro-scontro tra un Dio perfetto che ha creato mondi infiniti dove il male non esiste, e suo figlio, il ‘nostro’ Dio, che rivendica una sua modalità creativa, un suo diritto a sbagliare e a plasmare un mondo a sua immagine e somiglianza. Dio è un ragazzone tenero e impacciato che vive in pigiama e Andrea Filipponi ci regala un personaggio di surreale poeticità rivitalizzando lo straniamento presente in Maicol & Mirco.
Supportato in scena dall’indomito padre Fernando Micucci, una diavolessa sarcastica come Meri Bracalente e Sergio Licatalosi, lo zio hippy che ha ceduto alla troppa responsabilità diventando un giramondo senza arte né parte, Dio emerge grazie a una purezza gentile e timida riuscendo a rivendicare la sua unicità creativa tra goffaggine e genialità.
Questo scorcio sull’aldilà è costruito grazie a un pregevole sforzo che riduce le mille pagine de Il papà di Dio a uno spettacolo che, con una sua coerente drammaturgia, mescola auliche citazioni di Dylan Thomas e Jakobe Boheme al teatro di rivista, l’arte più lirica alla farsa quotidiana.
Rispetto al fumetto, l’operazione di messa in vita dell’opera sottolinea maggiormente il rapporto tra padre e figlio, ed evidenzia le costanti poetiche connesse alla necessità di emancipazione, al consenso e all’esperienza di crescita che si attua solo passando dalla solitudine d’avere perso riferimenti, padri e nuovi e vecchi dei. Grazie al suo chiaro carattere di opera buffa, stracciona e sgangherata, lo spettacolo riesce comunque a riprodurre quell’atmosfera sempre appesa all’orlo del precipizio che fa dei fumetti di Maicol & Mirco una lancinante rappresentazione del nostro quotidiano, tra filosofia e polvere di strada.
La regia di Andrea Fazzini, che si muove tra i pochi elementi scenici progettati da Frediano Brandetti, accompagna i personaggi tra alcuni simboli a cui è deputato il senso della riflessione e della sospensione. Molti gli elementi di stampo ironico e citazionista come il gioco con il mondo che Charlie Chaplin immaginò nel Grande dittatore, la fantasmatica Giduglia dell’Ubu Re che scompare in un tocco, lo Sharlock Holmes simile allo Sherlocko di Jerry Lewis o il raglio finale di Dio che richiama il Balthazar di Bresson e tutti gli “idioti” animaleschi e sinceri.
Il papà di Dioè un tuffo in un mondo onirico e al contempo reale, che immerge le relazioni quotidiane in una realtà fatta di altri segni e altre latitudini. Dio si siede in platea con gli spettatori e guarda che cosa accade in scena, come a dire “sono uno di voi”, e la mente corre a una delle più brillanti opere d’animazione degli ultimi tempi, Spider-Man: Into the Spider-Verse. Se il film propone a ognuno di noi la grande possibilità di essere Spiderman, questo spettacolo sembra invitarci a sentire tutte le potenzialità della nostra imperfezione: deboli, insicuri, egoisti e liberi siamo tutti un po’ Dio.
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