TEATRO/ Al Tordinona di Roma dentro le trame del nero con Cristian Angeli

di FEDERICO BETTA –

Dopo tre weekend di programmazione al teatro Tordinona di Roma, si avvia alla conclusione la messa in scena di Into the Black, travolgente lavoro per la regia di Christian Angeli.

Sebbene possa non essere scontato, il teatro e il noir si sono sempre confrontati. Innumerevoli studi fanno addirittura risalire alla storia di Edipo la prima traccia di quello che lo storico Carlo Ginzburg ha chiamato paradigma indiziario. La ricerca delle cause, delle storie, della Verità come apertura del senso razionale oltre la magia o il mistero, sono inanellate nella ricerca dell’Edipo Re di Sofocle fino a uno svelamento che fa rileggere l’intera vicenda sotto una prospettiva radicalmente mutata.

Il lavoro di Angeli però non si accontenta di seguire la ricostruzione di una classica detection ma, mescolando sollecitazioni cinematografiche e letteratura di genere, porta sul palco una storia dal carattere noir più oscuro e articolato. Rifacendosi al David Linch di Mulholland Drive e ai bassifondi onirici di Vertigine di Otto Preminger, il regista costruisce un meccanismo a orologeria attorno testo, forse un po’ contorto ma sempre ricco di suspense, del talentuoso Antonello Toti.

In scena, i due giovanissimi attori entrano ed escono dai diversi personaggi della storia facendo scivolare il pubblico in un tempo fluido e disarticolato alla ricerca del colpevole di un omicidio. Sebbene il lavoro tra i due sia calibrato, e il poliedrico Enrico Catani ricordi straordinariamente Peter Lorre, inquietante icona della cinematografia nera, la drammaturgia si appoggia sull’indagine della ragazza, una sorprendente Alessia Filiberti, che ci trasporta nella profonda sofferenza di una famme fatale dagli istintuali risvolti comici.

Il disegno sul palco richiama la locandina de La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock e la costruzione drammaturgica è un flusso spiraliforme di parole immerse nella violenza e nella sopraffazione di una realtà incollocabile in un tempo preciso, e forse per questo simbolicamente sempre al nostro fianco. A campeggiare sul fondale della scena c’è una grande M insanguinata, allusione a uno dei primi noir cinematografici (M il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang) e arpione attorno a cui ruota tutta la storia disseminata di nomi che iniziano con la lettera M.

Il simbolo è un carattere strutturante di tutto lo spettacolo e consente alla regia di richiamare le luci tipicamente espressioniste del genere. D’altra parte permette di connettere l’infilata di scene grazie a una recitazione sopra le righe, alla meccanicità dei movimenti e alla ripetizione delle situazioni che, strappando un sorriso, aiutano lo spettatore a immergersi in uno spettacolo che usa le strategie della fiction per articolare la complessità della verità.

 

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