TACKLE/ Calcio: il fallimento sportivo della AS Roma a stelle e strisce

camillaccidi Fabio Camillacci – L’esonero di Rudi Garcia e l’ingaggio di Luciano Spalletti, rappresentano l’ennesimo fallimento della Roma a “stelle e strisce”. La cordata americana si insediò a Trigoria nell’aprile 2011, rilevando dalla famiglia Sensi e da Unicredit una società fortemente indebitata. Il primo presidente di marca statunitense fu Thomas Di Benedetto, il quale, insieme ai soci James Pallotta, Michael A. Ruane e Richard A. D’Amore, presentò un’offerta per l’acquisizione della squadra giallorossa. Il 15 febbraio 2011 Unicredit, azionista e creditrice della società controllante l’A.S. Roma, avviò la trattativa. Paolo Fiorentino e Piergiorgio Peluso, esponenti di primo piano dell’istituto di credito, si recarono negli Stati Uniti per prendere visione del  cosiddetto “business plan” elaborato dallo stesso Di Benedetto.

La Roma agli americani: le tappe. Il 16 aprile 2011, in seguito alla firma dei contratti avvenuta a Boston, Di Benedetto diventa il nuovo azionista di maggioranza dell’A.S. Roma. L’accordo prevede che la cordata statunitense acquisisca il 60% del club capitolino, lasciando il restante 40% nelle mani di Unicredit, la banca si riserva il diritto di cederlo ad imprenditori italiani entro il primo trimestre del 2012. Il 18 agosto dello stesso anno la Roma annuncia, tramite il proprio sito web, che è stata perfezionata l’operazione di acquisto della partecipazione di maggioranza in A.S. Roma. Contestualmente viene reso noto che Di Benedetto assumerà la carica di presidente del club dopo il consiglio di amministrazione, programmato per settembre. Il 27 settembre 2011 durante la riunione del Consiglio d’amministrazione della società, Di Benedetto diventa il nuovo presidente della Roma. Il 27 agosto 2012 Di Benedetto lascia la carica di presidente del club al socio James Pallotta. Obiettivo numero uno degli americani: la costruzione di uno stadio di proprietà. Magari. Obiettivo, però, che alla luce di “Mafia Capitale” e delle imminenti elezioni comunali, rischia di diventare una chimera, come i successi sportivi.

“La Roma è una principessa, noi la faremo diventare una regina”. Di Benedetto si presentò così, con questa frase a effetto che fece sognare i tifosi giallorossi. A seguire, i dirigenti scelti dagli americani aggiunsero altri spot: il “progetto”, rivelatosi utopico come quello per il ponte sullo Stretto di Messina, e “mai schiavi del risultato”, una contraddizione visto che nel calcio contano soprattutto i risultati, le vittorie, i trionfi. Non a caso, la Roma di Capello e Franco Sensi vinse uno storico scudetto nel 2001 senza entusiasmare dal punto di vista del gioco. La Roma conquistò il suo terzo tricolore grazie ad altri fattori, quelli che alla fine fanno la differenza nel calcio: una società forte, dirigenti competenti, grandi campioni in rosa e un tecnico valido e di polso. In 5 anni di Roma a “stelle e strisce”, non abbiamo riscontrato neanche uno di questi fattori. Peraltro, non sono arrivati nemmeno i tanto agognati dollaroni visto che il club giallorosso si autofinanzia con le plusvalenze, nelle quali è abilissimo il d.s. Sabatini (uno dei motivi per cui  è “sopportato” da Pallotta). E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Cinque allenatori in cinque anni. Stagione 2011-2012, Luis Enrique: 7° posto in campionato, fuori dalle coppe europee. L’anno dopo, prima Zeman (ingaggiato perchè Roma è piena di “zemaniani”: un modo da dilettanti di tener buona la piazza), poi il parvenu Andreazzoli (ex tattico di Spalletti): 6° posto e finale di Coppa Italia persa nel derby con la Lazio in una stracittadina entrata nella storia perchè unica. Stagione 2013-2014, inizia l’avventura di Rudi Garcia. Col tecnico francese le cose migliorano ma la bacheca non viene arricchita. I due secondi posti consecutivi fanno felice soprattutto la società, felice di incassare i soldi della Champions League. A conferma che di “dollaroni” veri e propri ce ne sono pochi. Con Garcia arrivano anche due record: 10 vittorie di fila a inizio campionato (impresa mai riuscita prima in Italia) e 85 punti finali (record di punti nella storia della Roma). Ma arrivano anche le umiliazioni: l’1-7 in casa col Bayern Monaco, il 6-1 rimediato a Barcellona, l’eliminazione dalla Coppa Italia a opera dello Spezia (squadra di Serie B). Dopo 2 anni e mezzo via anche Garcia e panchina a Luciano Spalletti (preso perchè è l’ultimo allenatore ad aver vinto qualcosa e perchè Roma è piena di “spallettiani”), ovvero: un ritorno al passato. Ma come? Montella fu cacciato per azzerare il passato e adesso si chiama il “pronto soccorso” Spalletti, uomo simbolo della gestione precedente? Anche Zeman fu un ritorno. Un ritorno, come detto, per accontentare la piazza, un po’ come la recente scelta di ricorrere alla bravura di Lucio. Tutto questo delinea una società confusa, una società che brancola nel buio.

L’equivoco Garcia: il pesce puzza dalla testa. Dal maggio 2015 al gennaio 2016, a Trigoria è andata in scena una commedia degli equivoci. Pallotta avrebbe voluto cacciare l’allenatore francese al termine della Serie A 2014-2015. Però, consigliato male dal d.s. Sabatini, dopo tanti tentennamenti, decide di confermare Garcia depotenziandolo. Via il pupillo Gervinho, poi tornato alla base perchè la trattativa con gli arabi saltò, via metà staff del tecnico transalpino. Conoscendo i giocatori e i loro capricci da bambini viziati, commissariare il Mister è l’errore più grande che una società possa fare e su Altroquotidiano mettemmo in guardia più volte Pallotta & Co sul grave errore commesso. Con un presidente lontano (Mr. President sta sempre in America), dirigenti non “di campo” e privi di attributi, e un allenatore depotenziato, non si va da nessuna parte. Il d.s. Sabatini è un ottimo uomo-mercato, ma, fare il direttore sportivo è un’altra cosa. Mentre il d.g. Baldissoni non ha nè esperienza di calcio, nè polso. Il resto è contorno made in USA: Zanzi e Zecca.

Esonero farsa. Che dire poi di come la Roma società ha gestito l’emergenza? Dopo l’errore fatto a fine maggio, i vertici romanisti hanno perseverato rimandando per troppo tempo il licenziamento di Rudi Garcia che da mesi non aveva più in mano lo spogliatoio. Nonostante le pressioni di Sabatini e Baldissoni, stavolta Pallotta si è imposto ordinando l’esonero dell’ex tecnico del Lille. Ma dato che in mano non aveva ancora la certezza del sostituto ha mandato in scena un qualcosa di surreale. Mentre Garcia dirigeva regolarmente gli allenamenti a Trigoria, il presidente trattava con Spalletti a Miami. Alla faccia dello stile. Abbiamo spesso criticato Rudi Garcia dal punto di vista tecnico-tattico (sottolineando che le colpe sono anche di giocatori e società), stavolta vogliamo applaudirlo per la grande calma e professionalità mostrate: al suo posto nonostante tutto. Chapeau.

Spalletti riuscirà dove tutti hanno fallito? La domanda nasce spontanea diceva qualcuno. Alcuni ricordano che nel 2009 il tecnico di Certaldo si dimise sbattendo la porta; ma quella era la Roma di Rosella Sensi piena di problemi economici. Altri dicono che le “minestre riscaldate” falliscono sempre. Staremo a vedere. Abbiamo però alcune certezze: Spalletti ha carattere e riporterà a Trigoria quella “cultura del lavoro” assente da troppo tempo. Ha già cominciato a farlo. Inoltre, Lucio ha il carisma e la personalità per sostituirsi a una dirigenza molle nella gestione del gruppo. Intanto, Zeman lo ha avvisato dicendo: “Attenzione perchè a Roma nulla è cambiato”. Tradotto: l’ambiente e la società restano gli scogli più difficili da affrontare. Auguriamo a Mr. President di aver finalmente azzeccato la scelta. La bacheca giallorossa langue. Gli ultimi trofei guarda caso, come detto, li conquistò proprio Spalletti: 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa italiana. Per rivincere, Lucio dovrà fare l’allenatore manager.

 

 

 

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