di FABIO CAMILLACCI/ Un oro atteso 20 anni. E finalmente eccolo. Meraviglioso, come sa esserlo un oro cercato così a lungo. Elia Viviani se lo mette al collo quattro anni dopo la beffa più atroce della sua carriera, compagna di tante sue notti insonni: da primo a sesto nell’ultima prova dell’omnium di Londra, dal sogno di un podio a portata di mano all’incubo di una medaglia olimpica sfumatagli davanti al naso, anche se allora non era il Viviani di oggi. Non era così forte, non era così deciso, non aveva preparato con la stessa cura in ogni minimo dettaglio questo secondo assalto alla gloria. Oro, davanti al rivale Mark Cavendish, che gli aveva soffiato il titolo mondiale con una volata beffa cinque mesi fa a Londra, e al campione uscente Lasse Norman Hansen. E poi le lacrime, l’abbraccio a mamma Elena e a papà Renato in tribuna, il tricolore da sventolare al mondo (foto Epa-Gazzetta.it). Tricolore che ora conta ben 23 medaglie (8-9-6).
Viviani più forte di tutto. Più forte anche di una caduta, che avrebbe potuto rovinare tutto, quando a 108 giri dalla conclusione della corsa a punti decisiva Park Sanghoon si è urtato con Cavendish e l’azzurro non ha potuto evitare di rovinare addosso al sudcoreano: ammaccato, Viviani si è rialzato prontamente ed è tornato in corsa e, grazie alla neutralizzazione, è tornato nel clima della gara. Pronto per dare di nuovo battaglia e andare a prendersi questa benedetta medaglia. Ma è chiaro che quel capitombolo gli ha regalato attimi di paura.
Partenza in salita. Due giornate perfette, iniziate peraltro in salita, perché quel settimo posto nello scratch d’apertura vinto dal danese campione uscente Norman Hansen, guarda caso alle spalle di tutti e sei i rivali che egli stesso aveva indicato come i più pericolosi nella corsa al podio, non era certo il miglior viatico per cominciare il viaggio verso l’oro. Ma l’omnium si costruisce anche con la pazienza, senza farsi prendere dal panico per un piazzamento inferiore alle attese. Ed Elia proprio lì, con quel settimo posto, ha confezionato la sua vittoria. La parola d’ordine era “step by step”, “passo dopo passo”.
Super inseguimento. A fugare ogni dubbio sulle sue chance ci ha pensato già la seconda gara, l’inseguimento, nella quale il veronese (il trascinatore della pista azzurra in questa rinascita che ha catapultato anche il quartetto in una nuova dimensione) ha piazzato un fantastico 4’17″453, il suo miglior tempo di sempre, con un progresso di quasi 3″, finendo terzo dietro ad Hansen e a Cavendish.
Eliminazione da applausi. Poi il consueto capolavoro nell’eliminazione, la prova in assoluto a lui più congeniale, quella in cui non finisce mai oltre il terzo posto e che qui lo ha visto vincitore davanti al francese Boudat e al colombiano Gaviria, il vincitore degli ultimi due Mondiali e dato da molti come il grande favorito. Un successo che ha catapultato il pupillo del c.t. Marco Villa al secondo posto della classifica generale dopo la prima giornata, a 2 sole lunghezze dallo stesso Boudat e 8 meglio di Cavendish.
Viviani vola al comando. La giornata decisiva si è aperta con il sorpasso, grazie al terzo tempo (personale limato di 3 decimi) nel chilometro, quella che un tempo era il tallone d’Achille del veronese e che ai Giochi di Londra (quando ancora era la prova conclusiva dell’omnium) gli costò la beffa del k.o. Stavolta, invece, è diventata la gara decisiva a proprio favore, con tanto di balzo al comando della classifica, con 14 punti su Boudat e 16 su Cavendish, prima dell’ulteriore allungo di 2 lunghezze sullo stesso Cavendish al termine della quinta prova, giro lanciato, chiuso con il secondo posto e un altro primato personale (12″660).
La corsa a punti. Ed eccoci al gran finale. La corsa a punti, che tutto poteva ancora ribaltare. Una lotta pazzesca, Elia sempre in testa ma braccato da Cavendish, poi da Gaviria e da Hansen capaci di prendere i 20 punti del giro di vantaggio, con Boudat pronto a fare la mina vagante. Punto a punto, coronarie al massimo, poi alla volata numero 14 i 5 punti della medaglia pressoché sicura, e dieci giri dopo una altro sprint vinto a mettere le mani sull’oro. Perché a quel punto solo una caduta o il giro preso da Cavendish o Hansen, ormai esausti, avrebbero potuto negargli la gioia.
Un successo indimenticabile per Viviani e per il ciclismo italiano. Da Atlanta a Rio, dal tris firmato da Andrea Collinelli (inseguimento), Silvio Martinello (corsa a punti) e Antonella Bellutti (inseguimento), al giorno dei giorni di Elia Viviani. In mezzo solo un bronzo a Sydney 2000, firmato nell’americana dallo stesso Martinello in coppia con quel Marco Villa che in silenzio, senza troppa fanfara, lavorando sodo, con le poche attenzioni per la pista (e pensare che a lungo siamo stati maestri) e con le esigue risorse a disposizione, ha portato un movimento fuori dall’anonimato internazionale e il suo uomo di punta sino al traguardo massimo. Rio de Janeiro, lunedì 15 agosto: una data indimenticabile.
Nuoto. Bronzo o argento? La maratona di nuoto finisce col giallo. La maratona del mare è anche azzurra, addirittura d’argento dopo la squalifica della francese Muller. “All’arrivo la francese mi ha buttato sotto e non ho potuto toccare il tabellone, sono contenta della decisione dei giudici”, dirà alla fine l’erede di Martina Grimaldi. E’ Rachele Bruni, 25 anni toscana ma di stanza a Roma, dove l’allena Fabrizio Antonelli. La regina di Coppa del Mondo si conferma tra le più forti del mondo dopo 10 km. Benvenuti a Copacabana, la spiaggia esotica più famosa del mondo. Bandiere, colori, caos tra nuotatori famosi e gente da spiaggia di Ferragosto italiano. Una carioca confusione. Per le 26 concorrenti neanche il tuffo dal pontile caduto giorni fa, ma direttamente, simbolicamente dall’acqua dell’oceano. Mare mosso ma non tempestoso, 23 gradi di temperatura.
La gara. Ai 5 km la magiara Rizstov è prima ma Rachele c’è. Controlla anche ai 7.5 passando settima quando l’olandese Sharon van Rouwendaal allenata a Narbonne da Philippe Lucas stacca le altre. Nell’ultimo giro le posizioni si definiscono con la cinese Xin xin che s’inserisce insieme all’iridata francese Aurelie Muller. La tulipana allunga una decina di secondi e va a toccare per l’oro, restano nel corridoio la francese e l’azzurra spalla a spalla e la transalpina in modo concitato e scorretto vince lo sprint per l’argento, il legno è della brasiliana Okimoto.
Il giallo con ricorso. La francese viene squalificata, ma la delegazione presenta subito ricorso: respinto. Rachele è d’argento e il sole irradia la felicità dell’azzurra che ha preparato in Messico l’ultimo assalto dopo una stagione d’oro tra Coppa del Mondo ed Europei. Rachele fa meglio dello storico bronzo del 2012 di Martina Grimaldi e regala all’Italia la medaglia n°22. “Finalmente la medaglia è arrivata – ha detto al termine ai microfoni della Rai – Sono felice, ho lavorato duro e questa medaglia mi ripaga dei sacrifici. Sono un’atleta difficile da gestire, ma dopo 4 anni di allenamenti, litigate e sorrisi, la lacrimuccia oggi è uscita. Sono contenta che Fabrizio mi abbia portato fino a qua. La tattica di gara? L’esperienza di questi anni, sono cresciuta moltissimo. Sono felice che sono riuscita a tenere la tranquillità altrimenti non sarebbe finita così. È stata una bellissima giornata”. Un ferragosto indimenticabile per la caimana più brava. E domani tocca agli uomini con Simone Ruffini e Rachele Bruni.
Da Rachele Bruni una dedica speciale: “Durante la stagione sono stata due volte a Copacabana per circa un mese; abbiamo usato i gps per ottimizzare le posizioni da mantenere. Ho simulato il percorso olimpico, trovando sempre l’acqua pulita. Le condizioni di gara non mi hanno mai preoccupato. D’altronde il vero fondo è questo, in mare aperto, con onde e correnti: io amo nuotare così. Ringrazio la mia famiglia e chi mi ama. Hanno fatto tutti il tifo per me: papà, mamma, i fratelli. Ho cercato di portare anche mia nonna che ha 83 anni, ma non ci sono riuscita. La mia dedica va a Diletta”.
Pallanuoto. Vai Setterosa, ora puoi giocare per le medaglie! Il match dei quarti contro la Cina, il match più delicato e senza appello è una pratica brillantemente risolta dalle ragazze di Fabio Conti che gestiscono il match contro le generose asiatiche con una prova corale, accorta ed efficace in attacco. Mercoledì in semifinale la replica contro la Russia.
La partita. Cinque gol di differenza e molto di più per le azzurre che dal 2004 non tornavano a giocarsi qualcosa di importante dopo il bronzo mondiale del 2015. Un Setterosa che si accende davvero nel secondo parziale dopo il pari del primo (Garibotti). Segna due volte Giulia Emmolo e Roberta Bianconi incide con la sua solita prodezza di forza. La Cina trova il secondo gol ma le azzurre controllano bene le asiatiche. Zhang Cong trova la doppietta nel terzo parziale, ma la risposta è immediata, sempre della Bianconi in superiorita’: 5-3. Tocca a Federica Radicchi segnare il 6-3 prima di un’espulsione temporanea che prova il quarto gol cinese. La partita resta apera, questa Cina è combattiva davvero. Arriva, propizia, la gemma della Garibotti che riporta le azzurre sul più 3. Poi Tania Di Mario ci mette tutta l’astuzia e mestiere per allungare sull’8-4. Nella quarta frazione da gestire con piu’ tranqullita’ arriva la rete bis di Tania. La Cina le prova tutte per rientrare in partita, si riavvicina con due reti ma resta a -3. Che diventa -4 dopo il rigore trasformato dalla Bianconi. La Cina insiste con Zhang Cong ma ormai è tardi. Segna pure Rosaria Aiello.
Torneo di pallanuoto femminile all’insegna delle sorprese. Intanto mentre le olimpioniche ed iridate americane eliminano con dieci gol di scarto (13-3), sono clamorose le eliminazioni dell’Australia e della Spagna, già sul podio olimpico e mondiale. Le australiane cedono 11-13 all’Ungheria e le spagnole si fanno sorprendere 12-9 dalla Russia, già battuta dalle azzurre e contro la quale ora dovranno ritrovarsi mercoledì. E stavolta in palio c’è la finale, la medaglia a prescindere.
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