di SERGIO SIMEONE*– Credo che nella disputa che si svolge nei talk show, se sia opportuno o meno dare nuove e più potenti armi agli ucraini, ci sia una grande vittima, la coerenza , quella tra gli obiettivi che vengono indicati ed i mezzi necessari a conseguirli. Gli obiettivi, infatti, che si possono perseguire in questa fase della guerra della Russia all’Ucraina sono due: o una pace giusta o una pace purchessia che sia soprattutto rapida.
Se si vuole una pace giusta è necessario che l’avanzata dell’esercito russo ad est ed a sud del Paese sia fermata in modo che i due contendenti possano sedere al tavolo della pace avendo lo stesso potere contrattuale. Per ottenere questo risultato, (per coerenza) l’esercito ucraino deve essere dotato di armi che siano adeguate a questo scopo per qualità e quantità. Circa la valutazione di quali e quante armi siano necessarie io penso che spetti dirlo a chi ha competenze in materia. Soprattutto non mi avventurerei in dispute nominalistiche, come la distinzione tra armi difensive ed offensive, anche perché tutte le armi sono rivolte ad ”offendere” il nemico: anche le armi anticarro, ad esempio, che pure vengono classificate come difensive, oltre a distruggere i carri armati, uccidono i soldati che vi sono a bordo.
Non mi sembra invece molto coerente invocare una pace giusta e scandalizzarsi per l’invio di armi più efficaci per fronteggiare la nuova offensiva dell’esercito russo nel Donbass ed in direzione di Odessa.Se invece si vuole una pace che sia soprattutto rapida, prescindendo dalle condizioni alle quali sarà raggiunta, per coerenza, a Zelensky non bisogna mandare nessun tipo di arma né pesante né leggera (e nemmeno munizioni), perché siamo certi che così facendo entro un paio di settimane la pace regnerebbe a Kiev.
Indubbiamente questa soluzione comporterebbe qualche inconveniente: si sancirebbe il principio che uno Stato potente e prepotente può cancellare la sovranità di un altro Stato facendo diventare puro flatus vocis parole come libertà, democrazia, autodeterminazione dei popoli; l’Europa ne uscirebbe umiliata ed indifesa di fronte alle mire imperialistiche russe; i sovranisti nostrani ritroverebbero in Putin il loro riferimento e vedrebbero finalmente riconosciuta la valutazione salviniana che mezzo Putin vale quattro Mattarella. Questi, però, sono evidentemente considerati semplici dettagli che i cavillosi tirano in ballo quando sono a corto di argomenti.
Ma, per onestà, bisogna dar conto anche di quelli i quali ritengono che finora si è parlato solo di guerra e nessuno pensa di mettere le parti intorno ad un tavolo ed avviare una trattativa. Costoro si sono certamente un po’ distratti, perché non si sono accorti che nell’arco di due mesi ci hanno provato, da prima dell’invasione fino ad oggi, Macron, Scholz, Draghi, Bennett, Erdogan, il segretario dell’ONU Guterres, il Papa Bergoglio (e certamente ho dimenticato qualcuno), mentre Zelensky, a più riprese, diceva di voler parlare direttamente con Putin. I trattativisti distratti ritengono evidentemente che Putin non abbia in mente una visione imperialistica che persegue con grande determinazione, ma abbia solo un brutto carattere e che la guerra sia nata da una sua incazzatura. Si tratta perciò di trovare qualcuno che riesca a rabbonirlo. Se le cose stanno così, l’insuccesso dei tentativi fatti finora può dipendere dal fatto che nessuno dei personaggi sopra citati ha le competenze professionali adeguate ad affrontare questo problema di natura psichica.
Si potrebbe allora provare a mandare a Mosca uno psicologo.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
Commenta per primo