Se anche l’allenatore di calcio diventa tecnico del coronavirus

di ENNIO SIMEONE – L’Italia, come si sa, è composta da 60 milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio: tutti si sentono autorizzati a discettare e a pontificare, oltre che sulle strategie della squadra del cuore, anche sulle tattiche e sulle tecniche della compagine che rappresenta i colori della patria calcistica, dettandone la formazione e illustrandone la tattica, con la pretesa di impartire all’allenatore e al direttore tecnico le loro personalissime teorie pedatorie. 

Da alcuni mesi a questa parte tale fervore è stato distratto dall’irruzione sulla ribalta mondiale del malefico coronavirus, che ha finito per catturare e assorbire a tal punto l’interesse di molti di questi strateghi da trasformarli prima in virologi, epidemiologi, infettivologi, e, successivamente, in aspiranti ministri della Sanità, ministri dell’Economia, e persino presidenti del Consiglio. Tutti, pertanto, impegnati nel demolire l’operato di quelli in carica, pronti a sostituirli sul campo, ma senza mai rivelare, astutamente, la strategia che metterebbero in atto qualora venisse concessa loro l’opportunità di impossessarsi delle leve di comando. Nel frattempo aizzano contro gli attuali governanti i “sudditi della dittatura sanitaria”, ingaggiando o incoraggiando malavitosi della peggiore specie a scendere in strada a scontrarsi con la polizia e a dar fuoco ai negozi e a sfondare le vetrine di quegli stessi commercianti di cui dicono di voler difendere gli interessi.

In questo clima può accadere persino, come infatti è accaduto, che si invertano i ruoli e che un vero allenatore di calcio, come Sinisa Mihajlovic, si senta in diritto di attaccare i decreti anti-covid del governo affermando testualmente in conferenza stampa che “sono fatti a cazzo di cane”. 

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