Sconvolgente confessione: «Ho ucciso quel giovane sconosciuto perché aveva un’aria felice, non sopportavo la sua felicità»

Said Machaouat appena arrestato (foto Ansa di Alessandro Di Marco)

Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti“. E’ questo il movente, secondo quanto lui stesso ha dichiarato a verbale, che avrebbe spinto il 27enne italiano di origine marocchina Said Machaouat a uccidere Stefano Leo (foto in basso) ai Murazzi del Po lo scorso 23 febbraio . A riferire il movente il procuratore capo vicario, Paolo Borgna, che lo ha definito “un movente sconvolgentemente banale”.

“Stando a quanto lui stesso ci ha raccontato a verbale – ha sottolinea Borgna – nella sostanza ci ha detto che ha deciso di uccidere questo ragazzo perché si presentava con aria felice e lui non sopportava la sua felicità”.

Il 27enne è stato fermato nella tarda serata di domenica perché ritenuto l’autore dell’omicidio: poche ore dopo la marcia organizzata dagli amici e dal padre della vittima, il giovane si è presentato spontaneamente in Questura e da lì trasferito al comando dei carabinieri, dove è stato interrogato alla presenza del difensore. 

IL LEGALE – E proprio il legale esprime qualche dubbio: “Il mio assistito ha reso ampia confessione ma io sono perplesso sia per la scelta del tutto casuale della vittima, sia per le modalità di acquisto del coltello prima e dell’esecuzione del delitto poi”, ha detto Basilio Foti, avvocato del 27enne fermato. “Per avere conferma se è stato lui attendiamo l’esame del dna lasciato sul coltello, sicuramente ci saranno tracce di sangue della vittima” ha aggiunto il legale. Il coltello è stato ritrovato in piazza D’Armi su indicazione dello stesso aggressore. Le prove raccolte e le indagini condotte in queste settimane hanno infatti consentito agli investigatori di trovare i primi riscontri alle dichiarazioni rese dal giovane.

L’INTERROGATORIO – “Volevo uccidere una persona la cui morte avesse una buona risonanza; non un vecchio, un 40enne di cui non avrebbe parlato nessuno”: è una delle frasi che avrebbe pronunciato il 27enne durante l’interrogatorio di domenica, nel quale avrebbe poi raccontato poi di aver comprato il set di coltelli per circa 10 euro. “Erano coltelli colorati, me ne sono liberato subito tenendo quello che mi sembrava più adatto a quello che dovevo fare”. E poi “ho aspettato che passasse quello giusto, non so nemmeno io chi aspettavo: poi è passato un ragazzo gli sono andato dietro e l’ho accoltellato”, avrebbe detto ancora.

LA RICOSTRUZIONE – Il 27enne ha comprato il coltello la mattina dell’omicidio perché quel giorno voleva uccidere qualcuno: a raccontarlo è inoltre il comandante provinciale dei carabinieri, Francesco Rizzo, nella conferenza stampa in cui ha spiegato che in queste settimane sono stati acquisiti 380 filmati attraverso i quali sono stati ricostruiti gli spostamenti di quel giorno del giovane: dal suo arrivo in piazza Vittorio intorno alle 9:30, la discesa ai Murazzi, fino a quando è fuggito in bus dopo l’aggressione. 

LE INDAGINI – “Le indagini proseguono, stiamo documentando la sua vita per escludere che sia mai venuto in contatto con la vittima” ha sottolineato Rizzo, che ha aggiunto: “Il giovane era tornato a gennaio a Torino dopo un periodo trascorso in Spagna, a Ibiza, e in Marocco, dove si era recato dopo aver perso il lavoro. Poi – ha proseguito – è tornato nel capoluogo piemontese senza lavoro e senza casa e dormiva nel dormitorio di piazza D’Armi e mangiava nei punti di ristoro assistenziali”.

L’ARMA DEL DELITTO – “Quella stessa mattina ha comprato un set di coltelli di cui si è sbarazzato tenendone con sé uno solo – ha raccontato ancora il comandante provinciale dei carabinieri – e dopo l’omicidio lo ha conservato, a differenza della felpa sporca di sangue di cui si è liberato subito, perché ha detto che forse l’avrebbe di nuovo utilizzato”.

L’ARRIVO IN ITALIA – “La paura di poter uccidere ancora l’ha portato a costituirsi. Ha detto che non sapeva se suicidarsi o compiere altri fatti di sangue” ha concluso Rizzo. Il 27enne, nato in Marocco, era giunto in Italia a sei anni ed era stato seguito dagli assistenti sociali nel 2015, dopo la separazione dalla moglie italiana da cui aveva avuto un figlio. Da due non utilizzava un telefono cellulare.

LA FAMIGLIA LEO – “Il dolore per l’omicidio di un figlio, di un uomo giovane, di una persona di esemplare intelligenza e umanità, di un ragazzo onesto che stava andando a svolgere il proprio lavoro non può essere superato, tuttavia sapere che il responsabile non rimarrà ignoto è importante”. Cosiì Nicolo’ Ferraris, legale della famiglia di Stefano Leo, in una nota a nome dei familiari della vittima. “La famiglia confida come ha sempre fatto nel sistema giudiziario italiano, affinché sia fatta piena giustizia, secondo quanto previsto dalla legge”, prosegue la nota in cui si esprime “un sentito ringraziamento agli inquirenti per l’incessante lavoro svolto in queste settimane”, dai pm ai carabinieri. “In queste settimane la professionalità, la competenza e l’attenzione mostrate da tutti gli inquirenti hanno avuto grande significato per i familiari di Stefano Leo”, conclude la nota.

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