Sale di altri due miliardi il debito pubblico in Italia. Crescono le aziende straniere, ma con lavoro a reddito più basso

Come ormai siamo abituati, ecco oggi due nuovi dati economici sull’Italia che non inducono all’ottimismo, al contrario di quelli della settimana scorsa che davano il Pil in forte crescita.

Primo dato. Il debito pubblico italiano segna un nuovo record. A giugno il debito delle amministrazioni pubbliche è stato pari a 2.281,4 miliardi, in aumento di 2,2 miliardi rispetto al mese precedente. Lo rende noto la Banca d’Italia nel fascicolo “Finanza pubblica, fabbisogno e debito”. L’incremento ha riflesso il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (8,4 miliardi), in parte compensato dalla diminuzione delle disponibilità liquide del Tesoro (per 6,3 miliardi, a 52,6; erano pari a 92,5 miliardi alla fine di giugno 2016).

A giugno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 31,6 miliardi (-13,5 miliardi rispetto a giugno 2016), rileva Bankitalia. Nei primi sei mesi del 2017 esse sono state pari a 186 miliardi, -5,8% rispetto al corrispondente periodo del 2016. Il peggioramento è principalmente imputabile allo slittamento delle scadenze per il versamento di alcune imposte.

A giugno il debito registrato dalle Amministrazioni centrali è aumentato di 4 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 1,9 miliardi. Il debito degli Enti di previdenza è rimasto pressoché invariato.

Secondo dato: le imprese.  – Come emerge da uno studio sull’imprenditoria immigrata in Italia nel periodo 2012-2015 le performance economico-finanziarie aziendali e il posizionamento competitivo di un campione di oltre 135 mila imprese del manifatturiero e di alcuni servizi più aperti al mercato (alloggio e ristorazione, servizi alle imprese, ICT, trasporti e logistica) le aziende gestite da stranieri registrano un successo. Da tempo, in Italia, – spiega lo studio – l’imprenditoria straniera costituisce una quota significativa dell’offerta imprenditoriale e una componente rilevante della demografia industriale. Negli anni recenti e soprattutto durante la Grande Recessione il fenomeno si è ulteriormente rafforzato: a fine 2015 la quota delle imprese condotte da imprenditori immigrati aveva raggiunto il 9,1% del totale.

L’insieme delle evidenze disponibili mostra, in sintesi, che durante gli anni della Grande Recessione l’imprenditoria straniera ha assunto un ruolo e un peso relativo di importanza crescente, contrastando il ridimensionamento dei tassi di natalità delle imprese autoctone e ampliando e diversificando l’offerta di prodotti e servizi. Gli imprenditori stranieri in Italia provengono soprattutto dall’Est Europa (37,7%) e dall’Asia (32,8%), il 15,6% proviene dall’Africa, il 13,9% dall’America Latina. E producono lavoro , ma a più basso reddito. Infatti  il costo del lavoro per addetto nelle imprese straniere risulta sensibilmente inferiore rispetto a quello delle imprese italiane (circa 21 mila euro annui contro circa 30 mila). Ma il vero segreto del successo dell’impresa straniera è stata la capacità di reagire alla crisi: le imprese straniere segnalano valori superiori alle imprese italiane in riferimento a tutti gli indicatori di crescita tra il 2012 e il 2015: +17,7% contro il +10,1% per quanto riguarda le vendite, +26,6% contro +14,2% in relazione all’occupazione e +37,0% contro +19,5% per quanto riguarda il totale attivo.

Non c’è il dato delle chiusure delle imprese italiane, soprattutto le piccole e medie; ma che ci sia una vera e propria  ecatombe è documentato dai licenziamenti e dalle chiusure di negozi e botteghe anche storiche, che sono sotto gli occhi di tutti.

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