di LUCA DELLA MONICA –
Matteo Renzi è tornato per una pubblica esibizione, dopo la cocente sconfitta subita nel referendum sulla sua pseudo riforma della Costituzione, arringando a Rimini i sindaci Pd dei comuni del Nord. Ed è tornato ammantato della sua immutata arroganza, attaccando “lo spregiudicato pregiudiucato” Beppe Grillo perché, “reduce dall’ultimo villaggio turistico alla moda in Africa è venuto a dire che il problema è la povertà”. Lui invece, reduce dalle piste nevose di una povera stazione sciistica dell’Alto Adige, afferma che “il compito della politica non è enunciare problemi ma risolverli”, anche se il suo primo problema è tentare di scalare di nuovo Palazzo Chigi, sloggiando il collega di partito Paolo Gentiloni come aveva già fatto con Entico Letta. E in che modo? Semplice: conquistando il 40% alle elezioni da indire quanto prima”. E il problema, ha detto, “non è se votiamo con la legge della Consulta o la legge x o y: questi sono specchietti per le allodolole. La questione reale è che il mondo cambia ad un ritmo talmente impressionate che o il Pd, prima comunità politica del paese, prova a giocare un ruolo di proposta o stiamo diventando il luogo in cui qualcuno fa un servizio per un certo periodo, pensa al proprio io e l’Italia gioca una partita di serie B”.
“Noi siamo contrari ai grandi inciuci, ma non possiamo essere accusati di essere i custodi di un eccesso di semplificazioni e ora complici di complicazioni. Per evitare il caos c’è un modo molto semplice: arrivare al 40 per cento, noi una volta ci siamo arrivati alle europee e le abbiamo vinte, l’altra volta ci siamo arrivati il 4 dicembre è abbiamo perso”. Si è attribuito, cioè, tutti i voti di coloro che hanno votato sì al referendum, fingendo di dimenticare che una gran parte di quei voti erano di elettori di altri partiti, come i no arrivavano da elettori che poi alle elezioni politiche scelgono i partiti in cui si riconoscono.
Ma Renzi non si è limitato a prendersela con Grillo. Ha lanciato frecciate anche contro la minoranza Pd e ha riservato una battuta ironica contro Massimo D’Alema. Il quale ha tenuto contemporaneamente a Roma un incontro di coloro che hanno operato nei Comitati del No al referendum, affermando che “se la sordità prevarrà e prevarrà l’idea di correre ad elezioni senza un progetto, ciò renderebbe ciascuno libero”. D’Alema non ha fatto mistero di pensare a un movimento di cui potranno fare parte anche tanti cittadini che in buona fede hanno votato Sì”.
In sala con lui al centro congressi Frentani a Roma c’erano il presidente del comitato per il No, Alessandro Pace, l’avvocato Felice Besostri che ha sostenuto l’incostituzionalità dell’Italicum di fronte alla Consulta, esponenti dell’Arci e della Cgil, esponenti della sinistra Pd come Livia Turco, Roberto Speranza, Maria Cecilia Guerra, Miguel Gotor, Lucrezia Ricchiuti, e per Sinistra italiana Alfredo D’Attorre, Arturo Scotto e Nicola Fratoianni, il presidente Pd della Regione Toscana, Enrico Rossi; un messaggio è arrivato anche dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.
“Noi non avremo un tesseramento nazionale – ha detto D’Alema -ma comitati devono raccogliere adesioni, e fondi per essere in grado di lavorare e soprattutto per essere pronti alle evenienze che potranno presentarsi”, alludendo alla eventualità di elezioni politiche vicine. Anche se per D’Alema sono premature anche perché il Pd non ha un progetto politico e una visione del Paese che possono venire solo da un congresso. Perciò D’Alema si è detto “sconcertato”. E ha evocato ciò che è accaduto a Roma, dove il Pd ha silurato Marino per consegnare il Campidoglio al M5s. Perciò ha detto esplicitamente che nel Pd e lo si può fare solo con un congresso.
Sul fronte opposto, quello di centrodestra, va segnalata una manifestazione organizzata dal leghista Matteo Salvini e da Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia per chiedere elezioni subito. Ma quando ha preso la parola Renato Brunetta a nome di Forza Italia, per sostenere l’opportunità di approvare prima una legge elettorale adeguata, sono partiti fischi e contestazioni. E Raffaele Fitto intanto teneva un raduno per il movimento dei Conservatori e riformisti. Quasi comica è risultata la risposta della Meloni a un giornalista che le chiedeva con quale prospettiva rivendicavano “al voto subito”: «Puntiamo al 40 per cento».
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